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47. Un uomo libero

Creato il 31 ottobre 2010 da Fabry2010

47. Un uomo libero

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- Signor Leopoldo!
Lui è stufo di essere chiamato. Dall’inizio del romanzo è una altalena ininterrotta di speranze e delusioni e la sua tachicardia comincia a risentirne. In fondo è un tipo schivo e se ne starebbe tranquillo in uno di quei quartieri ricchi dove nessuno ti disturba. Ma è il personaggio di una scrittrice di borgata e, come tale, esposto a tutti i venti.
- Mi dica, Calipso.
- Come fa a conoscere il mio nome?
Di fronte alle domande difficili, preferisce essere evasivo:
- Non so, ha una faccia da Calipso.
- Non mi prenda in giro: per me è una specie di complesso. I miei insegnano lettere e sono entrambi innamorati dei cicli epici di Omero. Mi hanno dato questo nome perché gli sembrava di averlo più vicino.
- Anch’io lo sento vicino.
- Ama l’Iliade e l’Odissea?
- Tanto da poter dire di aver avuto un colloquio con l’autore.
- E cosa le avrebbe detto?
- Che il sentimento fondamentale del racconto è l’ira, un’energia che spinge alla lotta, alla battaglia, perché scrivere è una guerra, innanzitutto con se stessi: bisogna scavare, graffiare fino al sangue, rompere la scorza dell’ anima e trovare finalmente il cuore. Lo scrittore e il personaggio sono lo stesso eroe che combatte contro il fato, supera gli ostacoli che prendono la forma della spada e della lancia, dei carri dalle ruote ferrate, ma anche delle labbra seducenti di una donna, dell’oblio tentatore, di uno specchio per le allodole che distoglie dalla memoria della patria. Omero mi direbbe che, il giorno in cui una donna mi venisse incontro, dovrei chiedermi cosa intende fare con il mio destino: se avvolgermi in una tela inestricabile o condividere il campo di battaglia sanguinoso e impolverato e scegliere di camminare in silenzio accanto a me. Solo un uomo libero può scrivere, tutto il contrario di quello che insegnano nelle botteghe di scrittura: a scrivere si impara scrivendo, in uno scontro spietato tra forme e sentimenti, deliri d’onnipotenza e depressioni, disposti sempre e sempre a restare soli contro un esercito schierato e armato fino ai denti.
Calipso è rimasta a bocca aperta: lo straccio le cade dalle mani; Leopoldo lo raccoglie e glielo porge con un sorriso indecifrabile.



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