da qui
Lasciandosi alle spalle il cespuglio di lentisco, Simone Vangelis è soddisfatto: se avesse sparato di nuovo, si sarebbe rovinato. La rabbia, per ora, prende un’altra direzione: ha saputo che Brice si è salvato e giace in un letto d‘ospedale, per cui può approfittarne e dirgliene quattro in tutta calma. Com’è possibile che pubblichi un romanzo all’anno? Non gli hanno insegnato che la materia deve decantare, che ne deve passare di acqua sotto i ponti perché si accumulino gli eventi necessari a raccontare qualcosa di sensato? Come può pensare di salvare la qualità della scrittura trasferendo sulla pagina la prima trama che gli viene in mente, quando gli altri cestinano romanzi interi accorgendosi che le maglie della storia sono fruste e sfilacciate e la voce degenera in falsetto? Simone è nauseato dai romanzi commerciali, dalla pletora di libri insulsi che affolla le mensole dei supermercati, dal gesto automatico dell’avventore che richiede il titolo alla moda con la stessa consapevolezza con cui sceglie la bibita più pubblicizzata. Si sente ribollire pensando ai sentimenti triturati nella fretta del guadagno, nei ricatti delle case editrici, nella bramosia di gloria, e, all’improvviso, comprende perché non abbia resistito a puntare la pistola contro Brice, lo scrittore prolifico, capace di sfornare storie su storie senza prendersi una pausa, vendendo ogni volta troppe copie, braccato dalle donne, inseguito dai fans, circondato dagli imitatori: no, bisogna far qualcosa, ed è per questo che torna sui suoi passi per sfogare la collera che gli monta dentro, raggiunge il cespuglio di lentisco e svuota il caricatore contro la pianta in fiore che rappresenta il mondo senza senso, il nemico che gli impedisce di essere se stesso, la prigione che lo stringe sempre più, fino a togliergli il respiro.