Pubblicato da fabrizio centofanti su ottobre 31, 2011
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Mi ero abituato a tutto: sapevo che la profezia è ostacolata e il nuovo ha poche probabilità di farla franca.
Dove mi sono interrotto… Alla fine del Recordare. Allora siamo al Confutatis.
Questa volta, tuttavia, avevamo degli appoggi – Kennedy, ci pensi? – e fu un vantaggio e uno svantaggio.
Confutatis maledictis, flammis acribus addictis. Lei come lo tradurrebbe? Condannati all’eterno tormento.
Il vantaggio era ovvio: l’istituzione bianca dalla nostra parte.
Lei ci crede a questo? A cosa? A un fuoco inestinguibile, che ti divora eternamente.
Lo svantaggio era altrettanto chiaro: la condanna sprezzante dei movimenti radicali, l’accusa di collaborazionismo.
Oh sì. E’ possibile? Su, cominciamo!
Eppure partimmo, devi crederci davvero, nonostante tutto, per ottenere un risultato. E la posta era alta: la nostra libertà.
Ho finito in fa maggiore. Sì. E allora adesso la minore. La minore.
Era una marcia variopinta, bianca e nera: quanti di quelli che avrebbero dovuto insultarci si unirono al cammino!
Sì? Confutatis, la minore. Cominci con le voci.
Cantavamo – vinceremo! -: credo che il canto abbia una forza sovrumana, dicevano che anch’io, come Gesù, predicassi cantando.
Prima i bassi. Secondo quarto della prima misura. Che tempo, che tempo?
Marciavamo al ritmo di una musica nuova, parole che spingevano in avanti, anche quando il corpo esitava e perdeva il coordinamento necessario.
Quattro quarti. Secondo quarto della prima misura. La: Confutatis. Secondo quarto della seconda misura: maledictis.
Sì, eravamo proprio noi, gli oppressi, i derisi, i maledetti dal mondo. Eravamo noi che marciavamo a testa alta, senza più paura.
Capisce? Sì, in sol diesis. Certo. Secondo quarto della terza misura: mi. Flammis acribus addictis.
Sì, noi, i destinati al rogo delle cose inutili, buone solo per essere sfruttate e poi gettate via, senza indipendenza, senza autonomia.
Pausa. Maledictis, flammis acribus addictis. Mi segue?
E tanti bianchi si unirono al tentativo di rivolta non violenta, capivano che il futuro era dalla nostra parte.
Penso di sì. Faccia vedere. Confutatis, maledictis, flammis acribus addictis. Maledictis, flammis acribus addisctis. Bene. Ora tienilo lì.
Era un impeto che dovevamo conservare; guai a smorzare l’entusiasmo, a deludere una folla disposta ad arrivare fino in fondo.
Quarto tempo della prima misura. Confutatis. Seconda misura, quarto tempo. Re: Maledictis. D’accordo? Sì. Sì, sì! Continui.
Ormai non potavamo più fermarci, avevamo aperto una porta che non si sarebbe mai più chiusa.
Secondo quarto della quarta misura. Fa: flammis acribus addictis. Fammis acribus addictis! Adesso l’orchestra.
Il movimento si era esteso, c’erano tutte le premesse perché una ventata di nuovo travolgesse il mondo.
Secondo fagotto e il trombone basso con i bassi. Identiche note, stesso ritmo.
Per cui vi dico, amici, che se anche affronteremo le difficoltà di oggi e domani, ancora io ho un sogno.
Primo fagotto e il trombone tenori con i tenori. Troppo veloce. Ha scritto? Non corra così!
E’ un sogno profondamente radicato nel sogno americano.
Non corra così! Ma ha capito? Primo fagotto e trombone con cosa? Con i tenori! Identico? Ma certo!
Io ho un sogno. Che un giorno questa nazione si solleverà e vivrà nel vero significato del suo credo.
Con gli strumenti raddoppiano le voci. Adesso trombe e timpani. No. Trombe in re. No. Stia a sentire. No, non capisco!
Noialtri manteniamo questa verità evidente, che tutti gli uomini sono creati uguali.
Ascolti! Trombe in re. Due la in ottava. Al primo e al terzo quarto. No. Sì, vanno con l’armonia.
Io sogno che nella terra rossa di Georgia i figli di quelli che erano schiavi e i figli di quelli che erano padroni degli schiavi si potranno sedere insieme alla tavola della fraternità.
Sì! Sì! Sì! Sì, ora capisco. Ed è tutto? No, ancora ci vuole il fuoco. Gli archi all’unisono, ostinato in la: ecco, così. E la misura dopo cresce. Sì. Ha capito? Sì, sì. Sentiamo. E’ meraviglioso. Sì, sì, su, forza. Voca me. Sotto voce. Su, lo scriva: sottovoce. Sì. sì. Pianissimo. Voca me. Sì. Chiamami fra i benedetti. Do maggiore. Soprani e contralti in terza. Contralti in do, soprani una terza sopra. Voca, voca me. Voca me cum benedictis. I soprani salgono al fa, al secondo voca. Sì. Sì, sì. E al di sotto i violini. Arpeggio. Scala discendente di sei note e poi di nuovo riprende l’ostinato. Ed è tutto, ha capito? No, no, troppo veloce. Ha capito? Troppo veloce, un momento. Scusi, un momento! Sì. Bene, me lo mostri, voglio tutto, dall’inizio!
Fu così che cominciammo a correre, anche se qualcuno disse che fu il canto del cigno per me, che avevo dato tutto.
