Pubblicato da fabrizio centofanti su dicembre 9, 2011
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Sono uno davanti all’altra: Dalia è decisa, non ha nulla da perdere. Gli dirà che ha capito, che è un po’ che non comunicano nulla, che è un uomo importante ma ciò non lo autorizza a trattare gli altri come schiavi. Che parlassero un po’, che le spiegasse perché ai suoi occhi è diventata trasparente: non si accorge nemmeno del taglio nuovo dei capelli, se ha indossato una lingerie più provocante, e il profumo afrodisiaco non ottiene alcun effetto.
- Ma che dici? E’ tutto come sempre. Non hai idea di che cosa significhi fare il presidente.
- Lo eri anche prima. Hai un problema che non riesci a confidarmi? Un segreto di stato? Sono tua moglie!
- Non essere insistente: ti dico che è tutto come sempre, vieni qui.
L’abbraccia, ma lei avverte che la testa e il cuore del marito sono altrove; le donne capiscono, è così cieco da non rendersene conto?
- Fausto, stai pensando ad altro.
- Smettila Dalia, non si può vivere così.
- Cos’ha, lei, che non ti posso dare?
Lui abbassa lo sguardo.
- Sono stanco. Non capisci che ho anch’io bisogno di riposo? Di un rifugio, nella guerra quotidiana?
La testa di Dalia è stranamente luminosa. Un’aureola? Dicono sia dei santi, ma anche gli dèi pagani avevano la loro. E’ un simbolo del sole, della luce, della mancanza di meccanismi di difesa.
- Amore, parliamo; lo sai che trascurandosi si può arrivare a odiarsi? Mi sento nel braccio della morte, in attesa di venire giustiziata.
Ricorda un lago che cambiava colore: quello della passione non è forse il rosso? Sedevano e aspettavano, il miracolo si sarebbe ripetuto. La principessa Tresenga tornava sulle rive a ricordare il sacrificio dei suoi eroi.
- Ti ricordi?
Fausto è indispettito.
- Basta, non cominciamo con le memorie del passato. Ho bisogno di pace.
- Una volta, gli occhi ti brillavano pensando ai momenti in cui spariva tutto intorno a noi.
- Ti prego. Non è cambiato nulla.
- Mi odi.
- Dalia…
- Io ci credo ancora. Prendiamoci un giorno, un giorno solo, tutto per noi.
Il lago è una pozza di sangue: gli alberi allungano le ombre come mani giunte, come porte chiuse a chiave, come cani che abbaiano al minimo rumore.
