da qui
Vista da qui, la città è una massa bianca punteggiata di grigio, azzurro e oro. I grattacieli, il campanile, la cupola della moschea, spiccano sui tetti rossi, le facciate delle case, gli archi scuri dell’acquedotto ottomano. Yehouda immagina l’attività dentro la pasta delle abitazioni, la farina delle piazze, il lievito dei vicoli pieni di voci e di rumori. Pensa a Chochana che gli viene incontro con un vestito blu sul corpo atletico, le pieghe intorno ai seni che prova a intuire mentre lei cerca qualcosa sul telefonino, forse per permettergli di guardarla meglio, le gambe come grattacieli, le cosce come pasta bianca, le narici come gli archi scuri di Siloe, potrei fare una telefonata?, come, scusi?, sì, ho perso il cellulare e dovrei chiamare urgentemente, la cinta nera, la gonna che si alza leggermente sul ginocchio, il braccio sinistro lanciato indietro come le mura affacciate sulla valle di Iehoshafat, gli occhi spalancati, increduli, il gesto di porgere il telefono, come ipnotizzata, scusi, era solo un pretesto, l’ho vista così bella, non sapevo cosa dire, la città confina con il cielo, è l’azzurro a dare un senso al grigio, all’oro della cupola, alla punta nera e penetrante del campanile turgido, è il blu del vestito ad attrarre Yehouda, a convincerlo a prendere la mano di Chochana, a stupirsi del sorriso disarmante, hai la pelle liscia come le colonne del Tempio, le immaginavo così, le case, le coscie, la pasta bianca del mondo infarcito di colori, gli odori degli ulivi nella valle di Iehoshafat, hai mai pensato al tradimento?, le pieghe, adesso, sono crepe secolari lungo il muro, il seno è la cupola turgida che penetra l’azzurro vicinissimo.