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51. Il vento gelido

Creato il 04 novembre 2011 da Fabry2010

Pubblicato da fabrizio centofanti su novembre 4, 2011

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Facile immaginare cosa dissero dopo la mia morte i più conservatori.
Eppure ce ne sono di esempi: ricordo il tavolo di legno in mezzo agli alberi, il prete stempiato che parlava ai ragazzi – e come lo ascoltavano!
Che ormai era un caos, che si erano persi i punti di riferimento, le certezze che sorreggevano la chiesa: l’anticomunismo, il cattolicesimo come depositario unico della verità, la centralità assoluta della Curia romana.
Come faceva a interessarli così? Erano pensosi, gli occhi inchiodati su di lui, persino i più piccoli sembrava che pendessero dalle sue labbra.
Si stava così bene quando tutto era dato per scontato, l’inferno era l’inferno, il paradiso il paradiso e un prete doveva solo obbedire e amministrare i sacramenti.
Pensavo a Gesù con i discepoli: non sogniamo tutti una parola capace di toccarci il cuore? Non vorremmo restare ad ascoltare, nei secoli dei secoli, una favola che nessuno ci aveva raccontato?
Ora il campo è invaso dalle ruspe che buttano giù tutto; l’impalcatura inossidabile, orgoglio dei fedeli, crolla sotto i colpi degli innovatori, il sacro e il mistero sono fatti a pezzi al ritmo di chitarre stonate e cori squinternati.
Mi sembra di sentire l’odore della quercia, dell’erba bagnata di Barbiana, il vento che accarezza i volti come un alito di spirito santo.
Che ci fa il prete voltato verso l’assemblea? Non è l’Altissimo che si deve invocare? Non bisogna rivolgersi insieme verso il volto inaccessibile di Dio?
Riusciva a rendere vive le parole, il libro diventava nuvola, cespuglio, scoiattolo che appariva all’improvviso e raggiungeva la cima dell’albero in un battere di ciglia.
L’ansia di modernizzazione ha scavato un fosso in cui la fede è stata seppellita: e chi può essere capace di tirarla fuori un’altra volta?
Era uno degli uomini i cui occhi sono presi in prestito da Dio; tutto diventa luce, quando arrivano, smuovono i monti senza toccarli con un dito.
Insomma, fecero presto a dire che ero io la causa del disastro. Me n’ero appena andato: avrebbero potuto aspettare che chiudessi la porta alle mie spalle, risparmiarmi di sentire sulla nuca il vento gelido della maledizione e del disprezzo.


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