Pubblicato da fabrizio centofanti su novembre 5, 2011
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Hai presente quando succede qualcosa che di dà l’impressione di riguardarti da vicino?
E’ una curva come tante altre: sullo sfondo, palazzi bianchi e beige, a sinistra un’ombra indefinibile – un pallone aerostatico? La faccia inquietante del maligno?
Erano circa le dodici e trenta di venerdì ventidue novembre millenovecentosessantatré.
La gente era assiepata lungo i marciapiedi della strada larga, tutti in attesa di qualcosa – la vita non è aspettarsi qualcosa dalla vita?
Avevamo cominciato a intenderci, per amore o per forza, i nostri interessi convergevano, il popolo nero poteva contare su un interlocutore, un sostegno decisivo.
Spunta la prima moto, leggermente inclinata: è bello vedere i segnali di un arrivo, il ramoscello d’ulivo alla fine del diluvio, Giovanni il battezzatore, con la tunica di peli di cammello, la prima lama di luce che si affaccia all’orizzonte con la timidezza di un bambino che ha chiesto di dormire col papà e la mamma, per paura del buio.
Fino allora, il movimento era cresciuto, ma era come sospeso sopra il nulla; eravamo equilibristi in bilico su un filo teso sull’odio e l’indifferenza della gente.
Altre due moto si allargano a destra, cavalieri che vorticano intorno al paladino, una danza che alterna il paso doble, il giro e il mezzo giro, il ronde de jambe, la piroetta e l’arabesque.
Occorreva una leva e la nostra forza sarebbe finalmente esplosa, nessuno avrebbe potuto più fermarci.
Una delle moto gira a destra, prendendo una strada laterale; ora ne rimangono due, tirano dritte ai lati opposti del vialone.
Che importavano le critiche? Che senso aveva soffermarsi sul processo alle intenzioni? Lo faceva per motivi di carriera? Erano solo i nostri voti a interessarlo? E allora? Non contava più la libertà, cheappariva all’orizzonte come la sposa dei tuoi sogni?
Ecco, finalmente le macchine, vicine, come due sorelle, due gameti, una cellula che si trasforma in due cellule diploidi, nella mitosi incessante della vita.
Poi aveva i numeri: privo di retorica, infiammava gli animi con discorsi sobri che andavano dritti alla questione.
Con un solo colpo d’occhio puoi cogliere lo scintillio delle ammiraglie, le moto che le affiancano, l’erba rasa del prato, un bambino che corre per vedere meglio.
Cosa importavano il come e il perché, i soldi del padre, le lotte a coltello, i compromessi con le fazioni opposte?
Una coppia matura passeggia allacciata, come se intorno non ci fosse nulla; il cuore ha il potere di cancellare tutto, quando può stringere il suo sogno.
La politica non richiede di barcamenarsi, di scegliere, in certe circostanze, il male minore?
Ma ora, perché si piega? Non si sente bene?
Non è sempre così chiaro il confine tra il bene e il male, la vita e la morte.
Istanti eterni, in cui non si capisce che cosa sia successo; sguardi in cui si legge la domanda di fronte al destino, a qualcosa che ci supera e non potremo mai dirigere – cos’hai amore? Qualcosa non va? – Mamma, quanto manca? Comincio a essere stanco.
Qual è il confine fra la realtà e l’assurdo, tra la ragione e la follia?
Sono qui, amore, non ti preoccupare – mamma, mamma, mi sento morire!
Qual è il limite, oltre il quale la vita diventa intollerabile?
Una nuvola di fumo, il cervello che salta ed è finita.
Qual è il margine oltre il quale l’umano rischia di arrendersi alla faccia inquietante del maligno?
Sì, tutto questo mi riguardava da vicino – amore, coraggio! non pensare a niente.