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53. Nella carne

Creato il 06 novembre 2011 da Fabry2010

Pubblicato da fabrizio centofanti su novembre 6, 2011

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Pensavano fossi troppo buono. O incosciente. O troppo astuto: un contadino che la sapeva lunga e voleva ingannare tutto il mondo.
C’erano stati tentativi di unità: ricordo un monastero che ospitava monaci di ogni confessione, segno vivente che sarebbe possibile convivere.
Ma loro non erano gli scemi del villaggio e avrebbero resistito all’opera di soppressione della fede.
A volte viene da chiedersi come si possa essere cristiani ignorando la preghiera di Gesù, il testamento alle soglie di una morte infame, quando si ha poca voglia di scherzare.
Critiche piovvero da Mosca, dalla Grecia, dove il papa era fumo negli occhi e ogni mossa veniva interpretata come un atto di forza, una prova di annessione.
Perché qualcuno dovrebbe convertirsi di fronte allo spettacolo della diffidenza? La speranza non nasce dal manifestarsi inaspettato di una riconciliazione?
Non mancarono voci consonanti ed entusiaste, ma pullularono riserve, distinguo, una guerra di trincea in cui si controllavano le mosse del nemico, non si voleva fare il primo passo, si studiavano strategie difensive e si alzavano argini contro la piena del fiume vaticano.
Eppure cominciava a sbocciare l’idea di superare le barriere, smorzare gli odi, aprire la via a un rinnovamento che coincideva provvidenzialmente con fenomeni mondiali come il movimento non violento di Martin Luther King o le parole nuove della politica di Kennedy.
Arriverà il momento in cui la Bibbia sarà solo uno strumento, trafitta dal chiodo da cui pende il Cristo, le pagine saranno scritte col sangue di chi crede che non basti professarsi religioso, che la luce spunti dall’ombra del sacrificio di se stessi, dall’istante in cui dimentichi di pronunciare l’unico pronome che conosci: io.
La rivoluzione può nascere dagli osservatori che non devono uscire a testa bassa al grido di extra omnes.
C’è una porta da aprire, una gabbia da cui sogni di volare – perché non hai il coraggio? Papà, ma cosa ho fatto? Perché mi stai picchiando?
Eppure, eppure, c’è sempre qualcuno pronto a inorridire, a ritrarsi disgustato dall’accoglienza dell’altro, del diverso.
A cosa stai pensando? Che la tua vita è una parola dimenticata in qualche libro, che la tua anima è chiusa negli scaffali impolverati dove non arriva lo straccio della colf?
Eppure c’è un appuntamento con la storia, arriva un giorno in cui è impossibile sottrarsi a una scelta decisiva, a dire sto di qua o sto di là. Che aspetti a dichiararti libero?
Cosa manca perché il foglio di carta si lasci oltrepassare come una ferita, perché lo schermo sia la soglia oltre la quale trovi il vero volto, la voce più profonda, il Sé, insomma, te stesso, sapendo che solo ritrovandoti puoi trovare l’altro, e che tu e l’altro siete parte della stessa, esaltante verità?
Eppure, eppure, dicevano che il diavolo s’impadroniva della Chiesa, la zizzania si spargeva ovunque, un veleno mortale si diffondeva tra i seggi e le navate della basilica romana.
Quale chiodo potrà ferire il libro fino a trasformare la carta delle pagine in una carne viva?
Che aspetti ad aprire le porte a una religione che non è più indottrinamento, ma nasce dal centro della vita, della storia, coi colori e gli odori delle città del mondo, dei deserti, dei mari?
Eppure, eppure, si strappano i microfoni, s’insultano in latino, si scomunicano gli uni con gli altri - ut ununm sint, il testamento, prima di morire della morte infame.
Fino a trasformare la carta delle pagine nella carne viva del Messia, del figlio di Dio.


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