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54. La stessa cosa

Creato il 08 maggio 2012 da Fabry2010

Pubblicato da fabrizio centofanti su maggio 8, 2012

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E’ arrivato in ritardo. Lei è già seduta, la sigaretta accesa, si può fumare? Fuma e basta, come ha fatto sempre. La sala è piena di luci, trick e track, accendini oscillanti che paiono comete, occhi di gatto capaci di far cadere in trance. C’è qualcosa che prende allo stomaco, Stef Burns fa l’assolo di chitarra e una lacrima scende sulla guancia di Futura, chissà che cosa le è venuto in mente, dura com’è, ma anche tenerissima, sta pensando Fofner, che controlla il numero sulla poltroncina con una specie di torcia minuscola. Non si aspettava di trovarla lì, chi gli ha fatto lo scherzo? E’ come se qualcuno tenesse in mano i fili della storia, permettesse ai personaggi d’incontrarsi, di sondare le possibilità infinite che la vita riserva a chi non muore prima del tempo. C’è chi dice che esista il Padre dei racconti, che ha già in mente tutto dall’inizio: la scritta sul pontile, Dante in crisi coi bambini difficili, Romolo che interrompe la lettura, Filippo alla ricerca dell’amore, Nino che prova a ricucire gli strappi nella rete, i buchi neri nell’universo misterioso degli intrecci. Dicono sia normale accorgersi, un bel giorno, che nulla accade a caso, che è possibile ritrovarsi a Parigi tutti insieme, provenendo da mondi ignoti l’uno all’altro, che gira e rigira la vita te la trovi lì davanti, con domande e risposte sempre inquietanti e provvisorie. E se anche fosse? Anche il lettore viene preso nel meccanismo ferreo di un ingranaggio che non lascia scampo, che costringe a formulare ipotesi su ipotesi, a chiedersi perché tutto converga sempre nello stesso punto, che cosa significhi il gatto di pietra nella piazza, il tango simbolo di libertà, il tradimento come mossa a sorpresa del destino. E cosa mai ti spinge, Amerigo, a battere ostinatamente sui tasti bianchi e neri, quando sai che ogni scarto delle dita, l’andare e venire tra lettera e lettera, è tutto studiato in precedenza e a te non resta che seguire docilmente un canovaccio che prevede un incontro di sguardi tra Futura e Fofner mentre Vasco intona Vivere, e Alberto Rocchetti fischia l’intermezzo, e Mike Baird cadenza il ritmo sulla batteria all’unisono con le tua dita che fissano l’attimo in cui gli occhi azzurri e verdi di Futura incrociano quelli enormi di Fofner e sembra che esista solo l’assolo di Stef Burns con la chitarra giallochiaro, una stella che si accende nella notte della Cité de la musique, nel buio fitto in cui s’annida la violenza dell’ideologia, l’azzardo del colpo in banca, l’odio capace di giungere fino all’omicidio – perché, Futura? – mentre la folla accompagna le parole e i suoni e tutto è bello, la giacca a vento di Vasco, il suo berretto nero, persino questo è scritto, il Padre dei racconti si diverte a far cantare Vivere, la canzone preferita, proprio ora che Fofner la guarda coi suoi occhi grandi che sembrano laghi di montagna e non sai se nuoterai o ci affogherai, e la chitarra gialla di Burns ondeggia nella Cité de la musique come fosse una stella in viaggio verso la fine o l’inizio, che poi è la stessa cosa.


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