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58. Rosso – sangue

Creato il 11 novembre 2011 da Fabry2010

Pubblicato da fabrizio centofanti su novembre 11, 2011

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Decisi di non partecipare alla marcia di Selma, era la scelta strategica consueta per non decapitare il movimento nei passi iniziali di un’impresa.
San Pietro, al tramonto, fa uno strano effetto: è una tiara che resiste nel mezzo di un incendio, le nubi sono mani callose che vorrebbero ghermirla.
I cavalieri alzano le spade per incitare i destrieri. E se stessi, soprattutto.
Non avrei mai immaginato che potesse scatenarsi l’inferno.
L’obelisco è una penna che scrive tra le fiamme, il vangelo è un fuoco che rischia di bruciare, una passione che coinvolge chi fa finta d’ignorarlo.
Il fumo si solleva da terra e produce immagini cangianti: una donna nuda con le game accavallate, un piumino per la polvere, due codici di pergamena che si arrotolano e srotolano continuamente.
C’è sempre un ponte da attraversare, in una marcia, un punto che unisce o che divide, a seconda delle prospettive.
Le statue dei santi sono fantasmi che brandiscono spade o manipolano chiavi; sembrano immobili, ma si capisce che da un momento all’altro potrebbero venirti incontro per chiederti qualcosa: come stai o cosa pensi della vita.
La visiera dell’elmo è calata sul volto che ha bisogno di proteggersi, ma anche di nascondersi al nemico.
La folla è carica di tende e sacchi a pelo, di tensione, perché al di là del confine aereo dell’Edmund Pettus Bridge c’è una muraglia di agenti in divisa.
Solo a poco a poco ti accorgi che la statua sei tu, immobile da anni, con la spada e le chiavi in naftalina; ma ora, ora, senti un formicolio che corre per le braccia, che scioglie i muscoli dell’addome e delle gambe: stai per muoverti, ti appresti a scrivere nel fuoco del tramonto le prime righe della tua storia autentica.
Ecco, spuntano le lance dei nemici: sull’armatura hanno una tunica bianca attraversata da una croce nera.
I troopers indossano le maschere antigas, sono aquile impettite, pronte a cavare gli occhi ai topi che strisciano più a valle.
Pensi che per essere vivo devi fuggire dagli uffici, scrollarti i quintali di carte che ti aspettano ogni giorno, respirare, respirare, respirare.
Il villaggio è in fiamme, i cavalieri vi si aggirano come avvoltoi in cerca di carcasse.
Come ti senti quando una voce urla nel megafono che se non sparisci entro due minuti sei finito? Non vorresti trasformarti in statua, non sogni una vita in cui la scena è immobile nei secoli dei secoli, nessuno può andare avanti o indietro e l’Edmund Petts Bridge è sospeso su un tempo e uno spazio incapaci d’incontrarsi?
Respirare, sentire per la prima volta, nei polmoni, esplodere una cosa che gli altri hanno sempre chiamato libertà.
L’incendio affascina, ipnotizza. Ricordo la risposta di Jean Cocteau a chi gli domandava che cosa avrebbe salvato dalla casa in fiamme: il fuoco.
E invece si muovono, i troopers, non è soltanto un sogno né l’incubo che ti visitava da bambino e a cui non sapevi dare un nome; forse erail presagio che un giorno ti saresti trovato in mezzo al ponte che separa la pace dalla guerra, la vita dalla morte.
Ecco, hai raggiunto la fontana: sembra un fungo da cui pende un velo di perle, per un istante, sei goccia d’acqua che si precipita felice nell’abbraccio.
Le spade s’incrociano, le penne ondeggiano, dove affonderà la lama, questa volta, quale ferita sanguinerà nella memoria già intasata di dolore?
Sono qui, l’onda d’urto c’investe, una nuvola di fumo ci travolge, mentre i cavalli calpestano i caduti e tu dov’eri, Martin?
L’acqua è un tappeto di scintille che si srotola, la statua è immobile sullo sfondo del tramonto rosso – sangue.


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