Una serie di incontri di formazione fatti questa settimana mi ha dato lo spunto (e il materiale...) per scrivere un'altro post "strategico" che possiamo tranquillamente vedere come approfondimento di Strategia Digitale - il manuale.
Ci sono in giro una serie di affermazioni, di pensieri pericolosi. Ecco alcuni spunti di riflessione.
1. Se non pensiamo al business quando facciamo comunicazione, meritiamo di estinguerci.
Semplice: la comunicazione (per una marca, prodotto...) serve ad aiutare l'azienda a raggiungere i propri obiettivi.Che, alla fine, devono sempre impattare sulla bottom line. E devono essere funzionali al marketing (quello vero, vedi: Il Marketing è più che prendere la gente per i fondelli. E il digitale...)
2. Poca Fuffa. Guai essere tutte chiacchiere e distintivo.
Se proponiamo al cliente azioni che sono belle, che "fanno relazione", che sono molto "social", che lo aiutano ad essere più "digital"... ma queste azioni non spostano di un millimetro verso gli obiettivi di business, siamo dei consulenti non solo inutili, ma anche dannosi.Facciamo sprecare tempo, soldi, attenzione verso iniziative irrilevanti.
Un po' come il "fare branding" superficiale dell'adv, o l'essere "2.0", o tutte le puttanate che dicevano le dot-com del secolo scorso. Brave a fare comunicazione impattante, a zero come modello di business, praticamente tutte morte, perché la gente poi, non ha dato loro una lira, non ha comprato. Con la soddisfazione di morire essendo comunque amate e popolari.
Non dico che tutto debba essere fatto per vendere direttamente. Rafforzare la marca, costruire relazione con le persone, usare l'influenza di un influencer sono tutte azioni legittime, step di un processo che però, prima o dopo, si dovrà riflettere sulle vendite.
3. Dobbiamo essere esperti. Di realtà
Va benissimo essere esperti di comunicazione, ma non basta.Occorre anche capire come funziona il business, il marketing, capire come funzionano le aziende e cosa comprano le persone. Insomma, essere esperti, in primis, di realtà.
Chiedetevi perché tante aziende guardano male le agenzie.
A volte perche non riescono a capirle. A volte perche le agenzie non riscono a capire loro. Anzi, gli dicono che sbagliano. Ma le soluzioni proposte sembrano fumose, poco concrete e non basate su ragionamenti solidi. Chiediamo atti di fede, spesso molto forti.
4. Se faccio relazione (in un qualche modo...) poi il successo di business arriverà. Ma anche no.
OK, certo che è importante fare relazione con le persone, i clienti, i "target". E in fondo, qualsiasi cosa io faccia, chi la vede modifica il suo relazionarsi con me.Se faccio qualcosa di wow, qualcosa di simpatico, uso un testimonial, parlo con un paio di persone via Twitter... certo, faccio relazione. Ma ciò è bene o male? O meglio, è funzionale a far andare bene l'azienda o no?
Conosco consulenti (non di questo nostro mondo digitale) che tutti consideravano simpatici. Che ti faceva piacere andarci a bere una birra insieme o una pizza. Bravissimi a comunicarsi, a fare relazione con le persone. Che non ti veniva assolutamente in mente di chiamarli per fargli fare un lavoro, perché non pensavi fossero bravi, competenti, speciali. Ottima relazione - ma nel senso sbagliato. Magari molto "wow" ma zero conversione.
5. Non roviniamo una bella amicizia (è tutta questione di obiettivi).
Ricordo anche di avere instaurato - da giovane - forti relazioni con alcune fanciulle che mi piacevano.Le ascoltavo, parlavo con loro, cercavo di essere loro vicino, tutto da manuale. Poi, ovviamente, veniva sottolineato che non avrebbero mai avuto una storia con me per non "rovinare la nostra bella amicizia" - e alle feste evaporavano con il primo tizio con la T-shirt "Italian Stallion" (vabbé, erano gli anni 80...).
Ottima relazione la mia - come sempre però dipende dagli obiettivi che uno vuole raggiungere (io, ovviamente, cercavo relazioni significative).
"Fare relazione" non vuol dire niente. E' come dire faccio cose, vedo gente. E non è che va bene fatta in qualsiasi modo, questa "relazione".
La relazione è importantissima... ma deve essere una relazione che sia funzionale agli obiettivi di business. Se uso un influencer, ci deve essere un senso, deve avere la capacità di trasmettere la sua influenza sul mio pubblico a favore del mio prodotto. Non è (spero) che se domani vado in giro con le mutande KelvinKlain voi che mi seguite e mi stimate vi fiondate a comprarle. Diverso è se io endorso un tool di marketing, un'agenzia, un libro, un'idea, una persona.
6. Altrimenti è come i Guerilla Marketing fatti male.
Ti ricordi l'evento. Non ti ricordi la marca. Lo ricordi con piacere e stima - non vedi motivi, a valle dell'evento, per cui dovresti comprare il fottuto prodotto. O dargli i tuoi dati per il loro database. O dare un feedback sulla tua user experience. O fare una quelsiasi delle mille cose che significano permettere all'azienda di fare business, incassare soldi, pagare gli stipendi, restare sul mercato.Faccio cose, vedo gente può essere divertente*. Ma se smettiamo di domandarci chi ce le compra, le sigarette, perdiamo il contatto con la realtà. Che non è normalmente un buon approccio per avere successo nel business.Se facciamo business.
Se invece, invece di aziende, consulenti, agenzie siamo artisti, e lo facciamo per la gloria e la bellezza, per esplorare teorie sociologiche nuove; o se siamo Guru che devono tirar su qualche lira vendendo libri, allora no, allora va bene tutto.
* E per chi non sa cosa significhi Faccio cose, vedo gente, guardatevi questo clip mitico, tratto da Ecce Bombo.
PS: non faccio volutamente riferimento a nessun caso particolare perché NON sto parlando di nessun caso particolare. Questo è un ragionamento generale, da applicare al modo in cui lavoriamo. Tutti, sempre.[Branding & Marketing Blog / Venturini]