Pubblicato da fabrizio centofanti su febbraio 3, 2012
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Marius vacilla, quando vede la donna sulla porta. Cosa fare? Continuare a svuotare le casse o sparare, per la prima volta, da quando è iniziato tutto questo? Ci sono momenti infiniti in cui persino lui, il duro, l’invincibile, è insidiato dal tarlo perfido del dubbio, anche se sa che non potrebbe mai permetterselo; ma la donna riccia, apparsa all’improvviso, gli mette dentro un’inquietudine inspiegabile: possibile che non sappia resistere? Cos’è che rende pesanti le sue mani, divise tra la Smith & Wesson e le banconote ammucchiate nel cassetto di metallo? I ricordi lo ingolfano, il campo dove aveva vissuto alcuni mesi per disintossicarsi, come diceva il prete, non era servito, la sua vita è qui; ma la donna, chi era quella donna? Perché ci sono immagini che ne chiamano altre, quella dell’amico che lo segue, per esempio, sempre più impacciato perché vorrebbe scrivere e questo non è affatto il suo mestiere; per un istante si mette nei suoi panni, di uno con la testa fra le nuvole, come è sempre chi vede la vita dalla parte degli altri, ed è questo che lo turba: pensare ad Arturo, alla donna riccia, ai clienti e alle commesse spaventate, ognuno concentrato nel suo ruolo, inchiodato a tradimento alle responsabilità alle quali non pensava, ma ora che potrebbe essere la fine è tutto chiaro, la vita scorre sullo schermo come un film o le righe di un romanzo che lo scrittore infila l’una dopo l’altra, spinto dall’adrenalina da lui stesso provocata e non sa se parteggiare per sé o per le vittime oppure per Arturo, divorato dall’angoscia di aver visto nella donna riccia qualcosa che lo blocca, lo getta nel tunnel dei ricordi, la spirale senza fine delle cause e degli effetti, dove basta uno sguardo per farti uccidere o farti innamorare. Quello sguardo: come hai fatto a coglierlo? La linea che ha unito per un attimo gli occhi di Gilda e Arturo: hai capito e basta, per una di quelle intuizioni imprevedibili che giungono da un altro mondo, dove non c’è bisogno di rapinare supermarket, dove chiunque è degno di rispetto e non esistono campi per dimenticare, in cui la natura è sottoposta a una pressione insopportabile, la stessa che ora ti costringe a scegliere la mano della Smith & Wesson, a chiudere gli occhi con la speranza di sbagliare, il dito sul grilletto, i ricordi al punto di saturazione, la donna riccia che allunga le mani come per fermare il tempo, Arturo che grida: no, non farlo! le righe che scorrono sullo schermo indifferente; per lui va bene tutto, che la pistola spari o che all’ultimo Marius ci ripensi. Che il mondo finisca o ricominci per lui non cambia nulla, è l’occhio freddo del destino, che non incrocia mai lo sguardo di vittime e carnefici.