In Italia – è noto – abitano 60 milioni di commissari tecnici. Che si esprimono, di solito, soprattutto in occasione delle competizioni internazionali importanti, ma che albergano comunque sempre in ogni cittadino.
Vi abitano però anche 60 milioni di segretari di partito in pectore, il cui ascolto – se Napolitano dovesse aspettare a consultarli tutti, prima di conferire l’incarico – porterebbe di per sé alla soluzione naturale del problema del semestre bianco (quello, per chiarire, che impedisce, a meno di riflessioni costituzionali ben fatte, al Presidente della Repubblica di sciogliere le camere – se non a fine legislatura – nei suoi ultimi sei mesi di mandato).
La ‘povna non fa eccezione, ovviamente. Così, passata la fase di analisi del voto, propone – nella forma di uno schema in 5 punti – gli elementi che le sembrano, per i prossimi giorni, assolutamente nevralgici. Così, se al Presidente della Repubblica interessa, quello che lei pensa non ha bisogno di chiederglielo convocandola a colloquio al Quirinale insieme agli altri – ché un po’ di tempo risparmiato di questi chiari di luna non è male.
1) Il primo punto, ineludibile, le pare l’impossibilità, a ogni livello, di quello che per comodità si può definire la “soluzione belga”, cioè un governo-non-governo (con la sopravvivenza legata a una serie di raffinatezze numerologiche inattuabili, e non solo per decenza, ma perché quelli del Pd, dai tempi del Prodi1, non sanno contare fino a 5) che faccia l’ordinaria amministrazione; in Parlamento, nel frattempo, termina il semestre bianco, e si vota il nuovo Presidente della Repubblica; fuori, si celebrano segreterie che vedano avvicendamenti generazionali non più eludibili (e non è che alla ‘povna necessariamente questo piaccia, anzi, ma questa è l’unica strada da seguire). Il motivo è riassumibile in una proposizione logica: l’Italia non è il Belgio, con tutto il corollario – politico, sociale, civico, economico – che questo può comportare. Se poi a margine si volesse notare che tutto nasce per colpa di un manipolo di volonterosi che – a partire dal 1993 (“hai capito, Mario Segni?”) – ha voluto giocare con le regole costituzionali senza conoscerle, pensando impunemente che un cambio di legge elettorale potesse, di per sé, cambiare una prassi di costituzione esecutiva che va a cercare la fiducia non nei voti legislativi, ma in Parlamento, la ‘povna sarebbe più che d’accordo a bacchettarli tutti. Purtroppo, adesso, è troppo tardi. E quando ce ne rendiamo conto siamo già arrivati a Grillo. Ma questo è il modo di fare italiano (prima si prova, poi si studia): che ci vogliamo fare?
2) Grillo in questo momento si sta divertendo a giocare a gatto-topo come un matto (vedasi per esempio gli orari, concomitanti, in cui da un lato accetta, sornione, i giornalisti, mentre contemporaneamente pubblica un post online, che smentisce quanto ha appena semi-detto). Ergo: sarebbe importante che tutti, dai leader di partito (Bersani in testa) all’opinione pubblica, la piantassero di seguire e commentare ogni suo sospiro come fosse quello del papa dimesso. E’ quello che Grillo desidera, ed è quello che non serve. Per le trattative, di qualunque tipo (e in specie queste: strane, impreviste, delicatissime) ci vuole pazienza. E soprattutto silenzio. Una dote, quest’ultima, che chiaramente mal si coniuga con l’abitudine italiana. La ‘povna aggiunge, a margine che le pare francamente ingenuo – un atteggiamento che accomuna molti elettori della coalizione che ha votato lei stessa – cercare, ora (dopo averli insultati a mani basse), di fare i conti col M5S facendo finta che possano fare quel che altri da loro (e da coloro che li hanno votati convintamente) desidererebbero. Il M5S ha sempre dichiarato che non si sarebbe alleato con nessuno della ‘casta’: dunque, se non accetta nessun tavolo programmatico, si limita a fare ciò che ha dichiarato in campagna elettorale, da sempre. Sarà anche calcolo politico, ma è (purtroppo) comprensibile. Se invece accetterà di fare altro, sarà meglio di quello che la ‘povna per esempio teme, e potrebbe venir fuori qualcosa di imprevedibile e (per un tempo limitato) forse nemmeno malaccio. Ma, che un Movimento votato sulla base di una serie di dichiarazioni molto esplicite possa legittimamente decidere di mantenere il punto programmatico alla lettera, non è cosa che faccia gridare allo scandalo. Anche se questo non piace agli altrui elettori. Più serio alla ‘povna sembrerebbe, se proprio si vuole intervenire dalla base per orientare i futuri processi politici possibili, chiedere le dimissioni dei leader che hanno portato a questa palude ingovernabile (Bersani e Vendola): ancora una volta, non perché lei abbia perso la stima in loro tutto di un colpo (anzi). Ma perché, da un lato, le pare che i militanti di una parte politica non possano che cercare di influire, per l’appunto, sulla propria parte (invece che invocare la parte ‘avversa’, e ora desiderata, come salvatori del mondo a costo zero per i proprio eletti), dall’altro non le dispiacerebbe, per una volta, vedere l’affermazione tranquilla, senza urla, retropensieri, polemiche, di quel banale principio per cui: “chi sbaglia, paga”.
3) Inizia a leggere, a tre giorni dal voto, timidamente un po’ dovunque, il nome del grande assente. Matteo Renzi si riaffaccia nelle analisi, là dove alcuni suggeriscono (per esempio nell’articolo di Servergnini, segnalato da Cì nel post precedente) che sia lui a ricevere l’incarico per un esecutivo targato Pd-Pdl, con il famoso governo di solidarietà nazionale. L’ipotesi, alla ‘povna, sembra francamente folle. E non solo perché puntare sull’alleanza con il Pdl sarebbe, ora, un errore incalcolabile; non solo perché significherebbe giocarsi in un colpo solo sia il Pd, sia Renzi stesso (cosa che alla ‘povna, è noto, non dispiacerebbe: ma un partito che sceglie di sacrificare la nuova guardia sull’altare di una riedizione politica è votato comunque al suicidio culturale); e non solo perché un’ipotesi del genere non può che essere fatta dalla dirigenza vecchia. Ma perché, banalmente, ciò è esattamente quello cui sta puntando Grillo, il quale, da una mossa del genere (con buona pace di Severgnini) non sarebbe per nulla spiazzato. La ‘povna confida però che Renzi sia abbastanza furbo da non cadere nel tranello (nemmeno per un esecutivo appoggiato dal M5S). Sarebbe opportuno, piuttosto, visto che è evidente che il M5S non tratterà mai (non può: perderebbe credibilità da subito) un esecutivo, non importa quanto leggero e programmatico, capeggiato da Bersani e/o da Vendola, che gli iscritti del Pd, invece di scrivere a Grillo (o sfidarlo a venire in Parlamento: ci manca solo questo), iniziassero a pensare a una figura credibile da proporre alla Presidenza del Consiglio: che non bruci i futuri candidati segretari del congresso, ma nello stesso tempo possa permettere davvero a chi vuole del M5S di sedersi a un tavolo a parlare.
4) A margine (suo malgrado) di tutto questo, Berlusconi si propone, e ritorna; dal tavolo della scrivania, tutto sui toni del bianco (una questione che, se Grillo continua nella chiusura di credito, sarà difficilmente eludibile). E qui la ‘povna vorrebbe sommessamente ricordare che – chiusa (parrebbe) la questione della Presidenza della Repubblica (nel senso che Silvio non può avanzare candidatura, con questi numeri e questo Parlamento) – si apre quella della Presidenza del Senato, serissima. Che è là dove punta Berlusconi da dopo i risultati delle urne. Presidenza del Senato che è seconda carica nel caso il Capo dello Stato sia impossibilitato a esercitarla. Un punto, non derogabile, sul quale si augura che i dirigenti Pd-Sel siano ben disposti a meditare.
5) Infine, la ‘povna lo ripete, un po’ testarda. In questo momento non si può andare alle urne, per via del semestre bianco. Ma questo intervallo di tempo passerà, e passerà in fretta. E a quel punto sarà chiaro se un esecutivo sarà stato formato (e dotato di sua propria fiducia, come è legale prassi), oppure saremo alla parodia del Belgio. In quel caso, prima di tornare votare integralmente, la ‘povna continua a pensare che non si debba sottovalutare la possibilità di sciogliere una sola camera (il Senato, ovviamente). A chi le fa notare che è irrituale risponde che “irrituale non è incostituzionale” (lo ha già detto); a chi le fa notare che è perplesso, risponde che lo è anche lei (e infatti, per fortuna, non è il Presidente della Repubblica); ma a chi le fa notare che vincerebbe Grillo risponde: “magari: sarebbe la mossa del cavallo!”. Perché se si va a votare su una camera sola, con l’altra già stabilita (e con una sua compiuta maggioranza), si va a votare su un regime di ballottaggio. Il quale vincolerebbe una qualunque maggioranza uscita dall’urna (e il Pd-Sel stessi) ad accordarsi, perché sarebbe quello – e quello soltanto – il mandato preventivo e chiarissimo consegnato alla tornata elettorale. Qualunque coalizione uscisse, per quanto stramba, sarebbe dunque voluta da un suffragio semi-diretto, e non un “accordo sottobanco, un inciucio, un pateracchio”. Ovviamente per un tempo ridotto, ma magari economicamente un po’ più stabile. E lo shock, preventivo e conseguente, obbligherebbe tutti coloro che su questo ci hanno marciato per lunghi sette anni, ad attivarsi per cambiare, finalmente, la legge elettorale.