da qui
La corsa di Cloe è ripartita: la parentesi dell’assistenza a Brice si è conclusa appena si è sentito meglio, si è mosso più liberamente e ha ripreso con lena il lavoro di scrittore. Si è accorta di stargli troppo addosso, di tarpargli le ali. Nessuna parola, solo sensazioni, sentimenti sottili che s’insinuano giorno dopo giorno, ogni volta più distintamente, fino alla sera in cui esplodono in un gesto nervoso, una frase che ferisce, l’espressione che non deve sfuggire e tradisce qualcosa che cova nella cenere. Come in un romanzo: si tesse la trama come niente fosse, con azioni e reazioni, i personaggi che recitano una parte prefissata e poi – ecco – lo scarto inaspettato, la curva a gomito che nasconde l’insidia imprevedibile, il Tir che ha fretta di arrivare e si allarga leggermente, quel tanto che basta perché Cloe perda il controllo e sia investita senza scampo, come se tutto fosse intercambiabile, nel romanzo e nella vita, tutto suscettibile di sostituzione tranne quel dettaglio, la linea che unisce l’autotreno e la bici bianca e gialla, l’impatto che tronca i pensieri, i sentimenti sottili, le sensazioni evanescenti, che ora si smembrano definitivamente in frammenti inafferrabili come fuochi d’artificio, di cui si coglie solo l’esplosione, la luce, la nuvola di fumo, e mai il materiale eterogeneo che precipita lento verso terra. Il lettore legge il libro come il finale della festa, pensato nei minimi dettagli, preparando i mortai con calibri diversi, sistemandoli in fila e collegandoli ognuno con la miccia; ma anche la chiusura pirotecnica, come la scrittura, non è mai prevedibile, è affidata all’estro dell’artista, al simbolo che emerge dall’inconscio e determina la rotta del percorso, la traiettoria che congiunge Cloe e l’appuntamento col destino, la sua scomparsa improvvisa e necessaria, perché il racconto conquisti una nuova direzione.