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61. A dirlo

Creato il 15 maggio 2012 da Fabry2010

Pubblicato da fabrizio centofanti su maggio 15, 2012

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Cominci a chiederti se valga la pena continuare a scrivere. Se non sia più utile allungare l’orario di lavoro, rischiare di litigare con la signora di turno perché sei più stanco, più nervoso; ma almeno potresti provare a sistemare la tua vita, fare progetti di più ampio respiro, pensare perfino a un matrimonio, non importa con chi, magari con Futura, se la smettesse di rincorrere i fantasmi del partito, gli incubi della lotta armata. Già t’immagini con lei in una mansarda di Parigi, di quelle che si affacciano sulle piazzette piene di colori, le tende dei bar, i tavoli con gente che fuma, beve o legge il giornale del mattino; ti piace fare il gioco di metterti nei panni degli altri, vederci la tua vita rinnovata, libera dalle catene che ti bloccano. Una vita normale: lavorare, mangiare, far l’amore, andare al cinema una volta al mese e pensare perfino a fare un figlio, che indurrebbe Futura a rinsavire, abbandonando l’estremismo sterile, lottando per le piccole cose di ogni giorno, più decisive dei suoi ideali deliranti e ormai contraddetti dalla storia. Non sarebbe più bello, più gustoso? E invece no: riduci al minimo l’orario di lavoro, non vedi l’ora d’incollarti davanti allo schermo a tirare le fila del romanzo, col timore che gli occhi grandi di Fofner possano irretire definitivamente il cuore di Futura; eppure sai che soltanto così potrebbe tornare sui suoi passi; giorno dopo giorno, ti pare che l’unico modo per capire la vita sia metterla in fila nelle righe nere che le danno una parvenza d’ordine, tracciano coordinate precise di passioni e sentimenti, scovano la parola giusta, quella che quando stai con le persone non ti viene mai, perché solo sulla pagina un ti amo è un ti amo, un vaffa un vaffa: li vedi a tutto tondo, puoi tornare indietro e leggerli di nuovo, dargli una diversa intonazione, fino a sentir risuonare la tua voce e dire sì, questo sono io, l’io che non hanno lasciato mai parlare, quello che tuo padre e tua madre hanno represso, che tua moglie o tuo marito vorrebbero dirigire, deviare, plasmare come a loro fa più comodo; ma sai che da quando è diventato storia, puntata del romanzo, pagina, nessuno lo può manipolare, è libero, proprio perché fissato definitivamente nella forma che solo lui può attribuirsi. Conviene continuare a scrivere, ridurre l’orario di lavoro, barcamenarti nel caos che è la tua vita, inseguendo il miraggio della parola giusta, dello sguardo vero, di te che ti alzi dal tavolo ingombro di carte, libri, chiavette del pc e pensi ecco, era questo che volevo, sono riuscito finalmente a dirlo.


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