Magazine Poesie

62. Come uno specchio

Da Fabry2010

Pubblicato da fabrizio centofanti su maggio 16, 2012

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Quanto avete camminato? Sai solo che si è fatta sera: è l’unica donna con la quale il tempo passa e neanche te ne accorgi. Vi siete raccontati tutto, ma c’è sempre qualcosa dopo il tutto: uno sguardo, un gesto, fanno nascere ancora un’altra immagine, un altro desiderio. Saranno le luci di Montmartre, le tende rosse che sembrano di fuoco, investite dai raggi dei lampioni. Ti dice: non sarai troppo magro? Vi sedete per l’ennesima volta al tavolo di un bar, sarà tutto un sogno? Che strano quello che hai fatto questa notte: ti aprivano una ferita in mezzo al petto, ma non era cruenta, ci si poteva infilare un piede con tutta la ciabatta; che vorrà dire? Che sono le ferite a permettere alla vita di raggiungerti? Ti vergogni di dirglielo, ma lei capisce sempre quando pensi ad altro. Glielo racconti nei particolari, mentre la luna si affaccia dietro la basilica; lei interpreta anche i sogni: devi esporti di più, dice; sono già troppo esposto, le rispondi, ma non cede, sostiene che siamo pronti a difenderci comunque, perché, a forza di subire, ci viene naturale. Il cielo è nero, visto dall’incendio della strada; le dico che non sono troppo magro, è il mio peso normale; davanti a noi c’è un altro bar, gente che ride, fuma, si ripara da chissà quali altri colpi; il mondo è un corpo crivellato, dove qualcuno infila mani e piedi, come si facesse spazio a qualcosa che sta per accadere, come se i sogni parlassero sempre di un futuro in agguato dietro l’angolo, sul lato opposto della strada, un passo di donna che si avvicina decisa, un viso che potresti riconoscere a mille miglia di distanza, e ti chiedi come sia possibile, se esista un posto al mondo in cui il passato non si confonda col presente, se sia una legge inderogabile che, quando credi d’aver trovato pace, ti piombi addosso il residuo fisso di un amore che un tempo ti avrebbe acceso ancora, ma ora è un macigno sullo stomaco, una catena da cui non riesci a liberarti: cerchi una via d’uscita, un consiglio del don, di quelli che ti dava battendo le mani bruciate sul bloc notes pieno di appunti indecifrabili. Mattea si avvicina sempre più, ma intuisci che stavolta non ha intenzione di fermarsi, vuole solo segnare un territorio, dimostrare che non riuscirai a scrollartela di dosso, che devi farci i conti; alzi gli occhi verso la tenda rossa come il fuoco, più in alto c’è la luna con la sua canzone di luce che non smette mai, che dura tutto il viaggio e ancora oltre, oltre il tutto che vi siete detti perché non si finisce mai di dirsi, di aprire e chiudere ferite, di sognare qualcosa che credevi perduto e invece è ancora lì, come uno specchio.


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