da qui
Cesare ha capito perché la scena di Cosimo e Amerigo non si sblocca: l’autore conosce il luogo troppo bene. L’edicola, per lui, non ha segreti; potrebbe passare in rassegna non solo i tratti più evidenti – la forma, la distribuzione della merce, le scritte degli sponsor -, ma perfino i titoli delle riviste, i volantini delle pubblicità, la marca dei palloni. Lo stesso potrebbe fare con le palazzine sullo sfondo, le tende rosse e bianche, le piante sui terrazzi di raccordo, le automobili parcheggiate abitualmente. I personaggi diventano tasselli di un mosaico sempre uguale: il corpo di Cosimo, steso sulla strada, è come il gelso dalla chioma fitta e irregolare alla sinistra del garage; Amerigo stralunato è il rovescio della parabola installata sul tetto dell’edicola per cogliere i messaggi del satellite; la folla assiepata tutt’intorno è il riflesso delle nuvole nere che sembrano togliere il respiro. Cesare si chiede che accadrebbe se la scena capitasse a Firenze, di fronte all’Hotel Caravaggio, dove l’autore ha trascorso giorni impareggiabili; il paesaggio sarebbe descritto in modo ugualmente ineccepibile: l’ingresso dell’albergo con la cupola a maglie di ferro, la pizzeria-spaghetteria, il parrucchiere, l’hotel concorrente; e poi la piazza con le panchine in pietra, la fontanella col pulsante, il prato e i lampioni stile antico con quattro lampade tonde per ciascuno. La differenza non starebbe nella superficie delle cose, ma nei ricordi evocati, nella gioia del ritrovarsi con la persona amata, negli odori e sapori che si scoprono più vivi per incanto. La scena di Cosimo e Amerigo avrebbe un altro ritmo: l’ambulanza arriverebbe poco dopo e svolgerebbe in fretta il suo dovere, la donna non dovrebbe urlare il nome di Cosimo per capitoli e capitoli, la folla tornerebbe alle proprie occupazioni con la sensazione struggente di aver vissuto uno spettacolo già visto.