Jamestown, Virginia, 1668 La traversata fu un incubo, ma alla fine giunse a Jamestown. Jeremy non sapeva nemmeno quanti giorni fossero trascorsi, da quella notte interminabile e scura. Anche se Puerto Plata e Isla Hispaniola erano lontanissime, il giovane Hudson era ancora sconvolto. Ciò che aveva detto Conrad Snow aveva davvero turbato e messo in discussione la sua esistenza! A volte, nonostante l’evidenza, gli sembrava ancora impossibile che quella di Strafford fosse una nave negriera, che la persona per la quale entrambi lavoravano, l’uomo che aveva affidato Jeremy a Barrancas e a Mathias, fosse un mercante di schiavi. Quando Conrad Snow gli aveva svelato ciò che accadeva su una nave del genere, Jerry non era nemmeno riuscito ad ascoltarlo, troppa l’angoscia che l’aveva travolto. Ricordava che quella sera, saputo del ritorno di Strafford, aveva chiamato l’amico con l’animo allegro, convinto di fargli una gradita sorpresa. Sul molo, però, Conrad l’aveva agghiacciato con quel netto rifiuto. Nel vederlo scappare, nel corrergli appresso, Jeremy si era sentito offeso e sconcertato. Per la prima volta il ragazzo aveva sentito su di sé il peso della differenza razziale, lui che non ci aveva badato mai, si era reso conto di impersonare tutto ciò che Conrad Snow odiava, di essere il suo opposto, di essere per lui il nemico. Di questo, Jerry aveva avuto paura. Ci aveva riflettuto, durante il suo viaggio: erano stati degli schiavi a picchiarlo quasi a morte, a spaccargli la bocca e costringerlo a sostituire l’incisivo laterale con un dente d’oro… e Conrad Snow, era un figlio di schiavi. Eppure, come si poteva aver paura di qualcuno col quale si erano condivisi risate, segreti e confidenze? Qualcuno del quale si credeva di sapere molto, se non tutto… per la prima volta Jerry si era reso conto dell’errore. Mentre Conrad lo aggrediva di parole, Jerry si era pentito d’avergli parlato dei suoi sogni, perché quell’amicizia era tutta sbagliata. Non poteva esistere. Non poteva resistere. Non poteva durare. In preda alla confusione, era indietreggiato. Conrad era scappato via, e allora Jerry, gonfio di rabbia e incomprensione, era tornato sui suoi passi e aveva identificato quell’odore, quelle voci, quei rumori. Conrad Snow aveva affermato la verità: avevano lavorato per un mercante di schiavi e Jerry non era mai stato sfiorato da quel dubbio, anche se… Furibondo, Jeremy aveva lasciato la banchina e si era messo a correre. Non si era fermato, aveva proseguito attraverso i campi e la strada della foresta, aveva corso fino a sfiancarsi, aveva camminato tutta la notte, fino a zoppicare. Le vesciche gli avevano piagato i piedi e, se avesse tolto gli stivali, avrebbe strappato carne viva, poiché la sua pelle martoriata dalla marcia forzata, era divenuta un tutt’uno con il cuoio delle sue calzature. Aveva pensato a Mathias Wilton, che era sempre stato contrario alla sua amicizia con Conrad Snow. Da diciottenne disilluso, non aveva voluto dare ascolto alle sue ragioni, l’aveva considerato geloso, ma ora le comprendeva in pieno: da negriero, Strafford non avrebbe mai permesso che i suoi uomini più fidati si accompagnassero al figlio di due schiavi scappati da una piantagione. Su Isla Hispaniola, tutti sapevano che Hudson e Conrad erano inseparabili amici, e avrebbero raccontato a Richard Strafford di quella mancanza di rispetto… e Richard li avrebbe cercati per fagliela pagare. Avrebbe ucciso Conrad, così come aveva ammazzato quel tizio, con il coltello con cui sbucciava la mela, senza esitazioni, a caldo. Dopo avrebbe chiamato a rapporto Mathias, che considerava il suo braccio destro. Il compito di Mathias Wilton era di badare a Jerry, di non permettergli di fare ciò che voleva, e, in effetti, il Tagliagole si era opposto a quell’amicizia, aveva fatto rimostranze a Jeremy che, inconsapevole del guaio che si stava tirando addosso, non gli aveva dato ascolto. Per questo motivo, Jeremy era scappato. Sapeva che c’era una nave in partenza, a Puerto Plata, un mercantile diretto in Virginia e lui aveva sperato, e sperava ancora, che quel suo allontanamento aggiustasse le cose, che Mathias sapesse giostrarsi, inventando scuse plausibili per salvarsi la pelle e la reputazione. Starsene lontano, ribellarsi, era un modo per dare una scusante a Mathias e salvarlo dalle ire di Richard Strafford. Stanco, sudato, impolverato e con le suole insanguinate, Jeremy aveva raggiunto il porto poco prima dell’alba. Aveva pagato con l’oro che aveva con sé un passaggio su quel mercantile e, appoggiandosi sfinito al parapetto, aggrappandosi a esso per dar sollievo alle gambe e ai piedi, aveva guardato l’alba rischiarare la costa. Durante la lunga traversata il ragazzo aveva pianto di dolore, rabbia e sconforto, ripetendosi che il suo sogno si era infranto, che quei cinque anni non erano serviti a nulla, che era fuggito da casa per perdere tutto. Si era rammaricato di aver raccontato a Conrad di sé, e di ciò che avrebbe fatto, pur di seguire Richard. Anche ora rabbrividiva, quando pensava a Richard e si corresse: Padron Richard, come aveva detto Conrad, pronunciandolo alla francese e con disprezzo agghiacciante. Anche ora che aveva raggiunto la Virginia, che era in mezzo alla sua gente, Jerry pensava che perdere Conrad e Mathias era stato peggio che perdere il padre, perché erano stati i suoi unici amici, una volta partito alla ventura, e li aveva lasciati indietro per salvarli dalla sua avventatezza, dalla sua cocciutaggine, dalla sua debolezza. Ora Jerry doveva tornare a casa, raccontare alla mamma e ai nonni ciò che gli era accaduto, spiegare quello che non sapevano, chiedere chiarimenti a Jungle e agli altri schiavi, scusarsi, capire e pensare. Principalmente doveva scusarsi, anche se farlo, non avrebbe cambiato la realtà delle cose. Doveva raggiungere la piantagione, ma non aveva denaro o oro con sé. Era scappato senza preoccuparsi di quello e inoltre, sconvolto e spaventato com’era, non aveva pensato che, giunto al fiume, avrebbe dovuto pagare un passaggio. Si aggirò fra le chiatte e le imbarcazioni, sperando di incontrare qualcuno di conosciuto, magari il signor Brooks di Whitewalls, della piantagione confinante con la proprietà di Greenville. Jeremy era stracciato e lurido, nessuno lo avrebbe riconosciuto come il ragazzino di tredici anni che era scappato da casa, cinque anni prima. Camminava con l’aria mesta, quasi rassegnato all’idea di farsela a piedi seguendo gli argini del grande fiume, quando lo sguardo di uno schiavo fermo alla posta, lo trapassò con intenzione. Il giovane alzò gli occhi scuri e strinse i pugni, abituato dalle esperienze a farsi guardingo si aspettava un'offesa, ma di colpo la sua paura scomparve: quello era il suo più vecchio amico, l’ultimo volto che aveva salutato, partendo. Riconobbe Joshua al primo istante, così come avrebbe riconosciuto le proprie mani, e allora Jerry s’immobilizzò e sorrise dopo molto tempo: era a casa! foto dal web
Pubblicato da blanca.mackenzie | Commenti Tag: jerry hudson