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64. Il padre dei racconti

Creato il 07 febbraio 2012 da Fabry2010

Pubblicato da fabrizio centofanti su febbraio 7, 2012

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Quanto tempo è passato da quando Marius ha esploso il colpo di pistola? Basta un centesimo di secondo per rivedere la vita da un’altra angolazione, quella della morte, o della perdita di una persona cara, o di chi assiste, semplicemente, a un omicidio. Vorresti trovarti dalla parte opposta del mondo, pensare che sia un sogno, quando ti svegli e tiri un sospiro di sollievo: e se fosse, davvero, solo il sogno di uno che vive nella notte le avventure da cui il giorno fuggirebbe con terrore?Hai cercato nei romanzi le possibilità negate dal tuo stato, dal carattere, dall’incapacità di lanciarti nella vita senza più riserve. Ora non sapresti dire di cosa trattassero: grumi di desideri e di timori, l’ansia di vincere i complessi nei confronti di tuo padre, sempre perfetto, sempre inattaccabile. Quando tornava dal lavoro, ti trovava al tavolo con la penna in mano; vi guardavate a lungo, senza dire nulla. Infine chiedeva, celebrando un rito patetico e ridicolo: che cosa stai scrivendo? Che ne sapeva lui dei tuoi tormenti, della linea sottile che doveva congiungere le pagine, del filo sempre sul punto di spezzarsi tra una puntata e l’altra, nello scontro quotidiano con le idee che non vogliono venire, le parole che s’impigliano in pensieri senza senso, s’ingarbugliano ogni volta di più, finché nemmeno tu potresti dire a quale storia stai cercando di dare disperatamente forma? Sembra facile tessere riga dopo riga la complicità con chi ti legge, il quale a sua volta segue percorsi tutti suoi, collega a ciascuna delle frasi un ricordo, un trauma, una risata, perché tutti pendiamo dalle labbra del padre dei racconti, l’unico che ha in mano il bandolo della matassa inestricabile per noi, il solo a sapere da sempre se il proiettile colpirà Gilda in pieno petto, spingendola verso il bancone dei formaggi, scatenando la rabbia di Arturo, indeciso come sempre, aggredito dal dilemma se sia meglio soccorrere la giovane o gettarsi contro Marius, strappargli la pistola e sparargli nello stomaco, bestemmiando al destino che ha il vizio di rubargli tutto, la fortuna, la donna, il successo nel mestiere, per cui se lo vede ancora lì davanti, suo padre, tornato dal lavoro, che lo fissa e prima o poi domanderà di nuovo: che cosa stai scrivendo? Oppure se, all’ultimo momento, Marius punterà la pistola contro la luce al neon per sprofondare nel buio la scena insostenibile, lo smacco di fallire per la prima volta in vita sua, il disprezzo per lo scrittorucolo che come al solito gli è d’impaccio e basta. Chi decide che il proiettile della Smith & Wesson debba fischiare vicinissimo ai ricci rossi di Gilda, che lei, con uno scatto imprevedibile, si diriga verso Arturo, lo trascini per la mano e senza che nessuno possa fare o dire nulla raggiungano la strada ingombra di gente e in pochissimi istanti dei due non rimanga alcuna traccia? Oltre la vetrina sembra di vedere due occhi dolci e neri, un uomo stretto in un soprabito scuro, con una sciarpa chiusa nell’interno.


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