Pubblicato da fabrizio centofanti su maggio 18, 2012
da qui
- E’ finita così?
- Ho semplificato: è impossibile racchiudere una storia nell’ambito di una seduta.
- Abbiamo tutto il tempo che vogliamo.
- Il tempo. Lo centellinavo, per non venirle a noia.
Hai avuto sempre paura di stancare, di qualcuno che dicesse basta. Forse per questo hai scelto i bambini, loro non conoscono stanchezze, si affezionano e ti cercano, solo tu puoi decidere di andartene, come in effetti è stato. Era questo il motivo per cui ti nascondevi, la facevi impazzire. Telefonava alle amiche comuni, come Elisa: era lei che vi metteva in contatto, organizzava incontri; il problema era che poi restava, per cui vi scambiavate solo sguardi, le stringevi la mano a sua insaputa, e immaginavi, immaginavi. Non sei un poeta, ma la fantasia di certo non ti manca; né mancava a Sonia, per quanto non volesse sbilanciarsi, non si mostrava troppo, anzi, se ci pensi, di lei non sapevi quasi nulla: il padre era medico, la madre ti avrebbe sposato volentieri o almeno avrebbe voluto che vi sposaste voi. Ogni tanto lanciava messaggi, come fanno le madri: bisogna aspettare, non avere fretta, ogni cosa a suo tempo. Abbiamo tutto il tempo. Forse per questo lo centellinavo, perché intuivo che se lei si scaldava facilmente, avrebbe altrettanto facilmente potuto raffreddarsi, divenire distante, come davanti a una persona sconosciuta; era del 29 febbraio, come avrebbe potuto essere altrimenti? Diceva: mi sono messa col più bello e intelligente; ti toccava ingegnarti, per non deludere un giudizio tanto lusinghiero. Così ti eclissavi, ti vedeva di rado, ma quelle volte era una festa, un’emozione che è impossibile descrivere. Chi tira troppo la corda, tuttavia, presto o tardi ne rimane vittima. Confidò di aver conosciuto un ragazzo con problemi, parlavano, parlavano, e un giorno, lo ricordi come fosse adesso, ti disse: l’ho baciato. Un pugno nello stomaco. Hai pensato che volesse ingelosirti, scalfire il bilancino con cui scandivi il tempo in cui stavate insieme. Una sfida continua, fra il troppo e il poco, il dare e il trattenere, finche il giorno in cui si abbandonò come mai prima, incorresti nell’errore fatale.
- Il nome sbagliato?
Hai presente il paradiso in terra, il momento tanto atteso, dopo giorni di latitanza volontaria? Stai godendo attimo per attimo il sapore di una passione travolgente, perdi il controllo, non pensi che al suo corpo bianco e ai capelli tutti d’oro e ti chiedi cosa hai fatto per meritare tutto questo e allora, proprio allora, pronunci il nome dell’altra che ti fa soffrire, che pensa solo al tango, e tu, che hai nuovamente fede in te, e pensi ora sì che sono pronto, anche per il ballo più impossibile, la chiami per nome, mentre Sonia sta gridando di piacere, ma ti sente, forse non ha mai sentito così bene, e il mondo finisce, abbiamo tutto il tempo, no, il tempo è scaduto, l’apocalisse ha bussato alla tua porta, il destino di Sodoma e Gomorra è un gioco da bambini di fronte allo sguardo di Medusa che pietrifica i tuoi sogni, interrompe il ballo come un incantesimo; l’universo si ferma e ci vorrebbe una catastrofe, un colpo di scena imprevedibile per rimettere in moto il meccanismo, una sorpresa o uno spavento, come quando ti passa il singhiozzo senza che neanche te ne accorga.