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64. Saint Quen

Creato il 30 novembre 2010 da Fabry2010

64. Saint Quen

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Maria è al mercato delle pulci di Saint Quen. L’onda umana la sospinge tra i gazebo quasi contro la sua volontà, mentre gli alberi allungano rami sottilissimi come volessero toccarla. Non sa dove dirigere lo sguardo: se sui vestiti a fasce colorate cuciti lì per lì da giovani africani o su file di valigie a carrello tra cui potrebbe scegliere la sostituta del suo cimelio d’altri tempi, o sugli ammennicoli orientali che sembrano dolci siciliani, da lontano, e sono invece monili dalle fogge infinite su cui l’attenzione si frantuma in schegge impossibili da ricomporre; la calca procede a ritmo uguale e lei fa appena in tempo a vedere i giubbotti appesi ai ganci, gli arazzi e i teli pieni di strane geometrie, le cinte, i soprabiti, le scarpe; o i dolciumi, le borse, i portachiavi. Si sente attratta da qualcosa; si volta e cerca di capire cosa custodisca la tenda più vuota delle altre; abbassa lo sguardo tra i corpi dei passanti e finalmente vede: libri! Cerca di guadagnare il banco, ma la folla è impenetrabile, sente che le mancano le forze, sta per svenire, qualcuno se ne accorge: la prende sotto braccio e la trascina al gazebo più vicino; lei si lascia andare sulla sedia; gli occhi sono chiusi, i rumori attutiti, e dal silenzio sente emergere una voce, come di attore; un timbro caldo, persuasivo, che racconta una storia in cui si riconosce sempre più:
In genere, quando si inizia un romanzo, si è convinti di scrivere qualcosa di assolutamente originale, un’opera che passerà alla storia, si distinguerà dall’ammasso di carta quotidianamente riversato sulle bancarelle di mezzo mondo (la parte di mondo dove si ha tempo per leggere, e non si sgobba venti ore al giorno per un pugno di riso, per esempio). Chi si accinge a riempire il foglio bianco o la parte di schermo destinata alla scrittura, poi, si dà arie da bohémien, circondato da una cifra imprecisata di tazzine vuote da caffè e/o mozziconi di sigarette accumulati in ogni angolo; ha un aspetto scapigliato e una finestra che dà su qualche scorcio di città particolarmente pittoresco. Basta affacciarsi, la sera, guardare le coppiette che si stringono con il gelato in mano, l’ubriacone che barcolla cercando di trascinarsi al bar, i bambini che s’inseguono passando sotto le gonne svolazzanti delle mamme (se esistono mamme giovani con gonne, nella civiltà dei jeans con squarci e patacche obbligatori), ed ecco che l’ispirazione arriva per miracolo…
Maria ascolta, ascolta, non si stancherebbe di identificarsi nelle pagine di cui è protagonista; ma ci sono anche Saulo, Giulio da Padova, Leopoldo; rintraccia informazioni preziose: i movimenti del suo personaggio principale, i pensieri di don Faber; sorride e si commuove, non crede ai suoi orecchi: perché non ci ha pensato prima? Basta lasciarsi andare, non fare resistenza, e il romanzo che cerca è tutto qui, fino all’arrivo al mercato di Saint Quen, dove l’onda umana la sospinge tra i gazebo quasi contro la sua volontà, mentre gli alberi allungano rami sottilissimi come volessero toccarla.



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