Pubblicato da fabrizio centofanti su febbraio 8, 2012
da qui
Non sai perché sei qui. A volte c’è una forza che ti prende senza che tu ne sappia nulla. Volevi tornare per capire, o almeno per fare un tentativo. Sei ridicolo, davanti al botteghino, tra giovani che fumano, personaggi pittoreschi che si scambiano battute incomprensibili. Sarà l’ultimo concerto? Quanto andrà avanti con le repliche? E’ un filo invisibile che collega la musica con la storia che ti sta trascinando chissà dove. Sarà vero che la chiama? O è solo suggestione? E cosa c’è di certo nella vita?Se fossero immagini prodotte dal cervello, che ognuno percepisce a modo suo e che per questo scatenano guerre, silenzi, tradimenti? Pensa all’azienda: non resta più nulla di quello che aveva progettato, un modo nuovo di accostarsi alla lettura, un rapporto stretto tra autore ed editore, una scrittura da costruire insieme, per salvare l’artista, l’impresario, la folla dei lettori dall’angustia irrespirabile dell’io . Un’utopia? E’ inevitabile rassegnarsi all’incomunicabilità di ciò che conta veramente? Entra come un automa nello stadio, la gente rumoreggia, vede fiaschi di vino, il fumo che aveva notato l’altra volta, un’atmosfera elettrica che lo contagia a poco a poco, se lo sapesse Dalia, ancora crede in me, nel matrimonio, dov’è che si è rotto, non sarà stata colpa mia? Condividevamo l’entusiasmo, gli incontri con i romanzieri, i consigli, le ipotesi, le correzioni in corsa, i commenti improvvisati, che fine hanno fatto, quand’è che hai smesso di guardarla, di cercare in lei la parte che mancava alla tua felicità? E’ quasi buio, si vedono i tecnici che provano organi elettrici e chitarre, accordano i toni, accennano i ritmi, non è quello che stai facendo tu, mettendo insieme i desideri e le paure, il corpo di Ester, tutto bianco, e quello morbido di Dalia? Ti sembra giusto tenerle sulla corda? La corda della Fender, la mansarda dove avevi dimostrato a te stesso che potevi amare, alla luce fioca, per creare l’atmosfera giusta, che ne dici, Arturo, una canzone sulla donna a cui abbiamo dedicato tante serenate, le cambiamo il nome, ti passano davanti, Dalia, Ester, a quante povere ragazze sei corso dietro per lasciarle sul più bello, non sarà che cercavi te stesso e non potevi trovarti finché l’altra era un pretesto per sentirti importante? Non ce la farai, papà, perché non credi in me, e comunque si chiamassero, Dalia, Ester, rappresentavano lo specchio in cui si rifletteva il volto triste delle fughe da te stesso, non sarà che cerchi tuo padre, ancora oggi, il primo sguardo dolce, la carezza che non ti ha mai voluto dare? Che sono questi fari, smettila, idiota, non penserai che sia la luce delle stelle, non crederai ai deliri di tua moglie, Fausto, Fausto! fatemi passare, mi chiamano, devo arrivare fino al palco, vorrei che fossi qui.