da qui
Brice Cento è un sorvegliato speciale nel romanzo a cui molti ormai mettono mano: sarà perché dà il titolo al libro, perché nasconde un mistero che nessuno riesce a decifrare, col suo doppio lavoro di manager e scrittore, o perché Cloe, prima di morire, ha colto nel suo sguardo qualcosa a cui forse non ha retto, e per questo si è lanciata nella curva a gomito, sapendo che il Tir sarebbe apparso come il mostro delle favole, frantumando la chiave per comprendere Brice, il romanzo, l’universo intero. I nomi contano, e il nome Brice Cento rimanda a qualcos’altro, la presenza nascosta di cui un racconto non potrebbe fare a meno, gli occhi azzurri su cui cala un velo di rimpianto per la dolcezza che lo scrittore non sa dire, anche se cerca, scava dentro il cuore, gli sembra di essere arrivato, di aver dato una forma ai sogni che lo incalzano, ma c’è qualcosa che sbuca dietro l’angolo, dalla curva a gomito, un camion che gli schiaccia le parole, gli toglie il respiro, lo convince dell’inutilità della sua corsa, di ogni corsa, ed è allora che vorrebbe disegnare la mappa di una città diversa, dove le strade s’incrociano solo per amore, dove gli occhi s’incontrano lungo una linea tracciata fra il desiderio e una nota mai sentita, una danza con lo stesso ritmo del cuore, la sintonia perfetta, le mani che s’incontrano, i corpi che si uniscono, l’urlo che sta per esplodere perché l’altro sappia che si arriva solo insieme o non si arriva più, ma ecco, la canzone s’interrompe, un velo di tristezza cala sugli occhi azzurri in cui qualcuno – Cavedagna, Cesare, Teodora – intuisce una lacrima che svolta nella curva a gomito dell’occhio, a un passo dalla fine.