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68. Persino io

Creato il 23 maggio 2012 da Fabry2010

Pubblicato da fabrizio centofanti su maggio 23, 2012

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- Cosa ti è rimasto, dell’incontro?
- Che mi è rimasto?
Che domande curiose. Cosa rimane di un amore? Gli angoli, le strade: ogni volta che attraversi il ponticello, torni a bussare alla sua porta. Sbirci nello specchietto e ti riavvii i capelli; lei, come sempre, non dirà una parola; fissi gli occhi verdi, cercando di spiegarti: mi faceva soffrire, era un conto in sospeso, io non l’amo; ma Sonia non ci casca; ricambia lo sguardo come fosse una sfida. E’ capace di baciarti, dentro l’ascensore.
- Sì, che ti è rimasto?
Non dovrebbero sforzarsi, gli psicologi, d’immaginare loro quello che può essere o non essere? Hai ancora il sapore di una volta. Anche tu, tesoro. Le accarezzi i capelli, le chiedi se sua madre abbia ancora intenzione di sposarti; sorride, ha le fossette sulle guance, decidete di tornare su. C’è una cosa che volevi più di tutto.
- Mi è rimasto un sogno.
Sei sola? Sì, sono sola. I genitori viaggiano per chissà quale meta. La casa ha un odore tutto suo: un po’ di libri, un po’ di argenteria. La parete, nella camera del padre, è ingombra di dischi in ordine alfabetico. Peschi a colpo sicuro: il Liebestod di Wagner.
- Di che sogno parli?
Azioni il giradischi, uno degli ultimi esemplari – accanto al divano, per felice coincidenza. Vi ritrovate nudi. L’amore ha un ritmo, il corpo vibra insieme coi violini, la voce vellutata che sale e scende e si avvita su se stessa, come le membra, l’arco teso che lacera la membrana del silenzio, il violoncello dalle curve morbide che riesci a cingere con un braccio solo.
- Prova a immaginarlo.
Comincia in un sussurro: le dici scusami, potrai mai perdonarmi? Lei non risponde nulla, ti fissa coi suoi occhi verdi in cui ritrovi il mondo, per miracolo. Segui il filo, lasciati portare; se ti sfugge un momento, può essere finita. Senti che cresce, piano, senza fretta, l’arco di violino, l’acuto e poi di nuovo il basso, ora si scioglie e si abbandona, è un flusso che nessuno può interrompere; tutto deve tendere all’istante culminante che è intravisto, accennato, una specie di miraggio, la terra promessa che vedi di lontano e allora corri, la raggiungi, ha un ritmo affannato, sincopato, è quasi un urlo, la voce, l’arco di violino, la stanza vortica, è tutto un avvolgersi nell’esito finale, il silenzio in cui il maestro alzerà per l’ultima volta la bacchetta, la terrà sospesa, immobile, in attesa dell’applauso.
- Sì, Dante, persino io lo posso immaginare.


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