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68. Ti chiama

Creato il 23 novembre 2011 da Fabry2010

Pubblicato da fabrizio centofanti su novembre 23, 2011

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Quindi: rivali e compagni di strada, nello stesso tempo.
La scena iniziale: case diroccate, un negozio con la saracinesca chiusa e una tenda logora, piena di rattoppi.
Di che colore è la rivolta? Hai mai pensato di dare un timbro, una forma, una bandiera – un segnalino, un segnalibro – a quello che ti accade intorno?
Lui viaggiò molto, come me: cercò alleati contro quello che chiamava l’unico nemico: l’imperialismo americano.
Sulla sinistra, un ombrellone: un residuo del bar, un posto per fumare e chiacchierare, dimenticando per un attimo la vita?
Forse, più che un colore, è un suono; slogan scanditi contro il mondo, mani che applaudono all’unisono, occhi che brillano come se l’orizzonte stesse già trasfigurandosi, sotto la pressione della folla.
Sapeva di rischiare, di minare l’impalcatura collaudata di un sistema ferreo, inesorabile.
La mitragliatrice ondeggia, punta su una strettoia da cui potrebbe uscire qualcuno, all’improvviso.
Se si è sfruttati, si è sfruttati sempre: a casa, a scuola, tra le mura domestiche, perfino di notte, mentre dormi, i tuoi sogni sono sogni di sfruttato.
L’unica certezza: la rivolta non finisce con te, prosegue la marcia anche se ti uccidono, perché ha un colore inafferrabile che non riesci a distinguere come gli altri colori della vita, ognuno con la sua gradazione prevedibile, ognuno con l’intensità che lo fa essere esattamente quello che è. La rivolta non è mai quello che è, è sempre quello che vorrebbe essere.
Alternativamente, ci sono le pistole; le punti insieme a ogni porta che si apre, a ogni squarcio che immette in una stanza dove non sai se troverai l’antagonista.
Per esempio, sogni di ballare. Non l’hai mai fatto in vita tua, se non nel modo stupido di quando devi dimostrare di non essere da meno. Perché, di notte, balli così bene, quando nessuno può vederti, quando la donna che stringi ha un volto sconosciuto o già dimenticato?
L’intuizione fu quella di estendere il movimento a tutto il mondo, perché il nero è un simbolo di discriminazione e si annida in ogni parte del pianeta, si nasconde nelle pieghe più impensabili, nelle cloache della storia.
Ecco, vedi un’ombra che passa, un uomo che corre con una tuta chiara e un cappuccio da astronauta.
Oppure sogni di sposarti, perché c’è sempre un matrimonio in agguato e, quando meno te lo aspetti, appare il partner col vestito inappuntabile, il fiore all’occhiello, un profumo d’incenso che non reggi e svieni, ai piedi dell’altare.
La liberazione deve affermarsi a ogni livello e a ogni coordinata: non c’è solo il negro; c’è la donna, il diverso, il politicamente e socialmente scorretto, il rifiutato di ogni latitudine, che allunga la sua ombra sulle giornate dei vincenti.
Ora sparisce dietro l’angolo, ma tu punta, non distrarti, che da un momento all’altro ricompare sulla scena.
Oppure sogni di nuotare in un oceano senza fine: a ogni bracciata la riva è più lontana, anzi, ti accorgi che non c’è, che tutto quello che chiamavi terra è una finzione, una chimera.
Solo in questa luce nuova ti spieghi le carneficine che servono a decimare gli indesiderati di ogni risma, cancellandone il ricordo, anche se, a volte, ritornano di notte sotto forma di grido o di tuono o di abbaiare petulante di cani randagi.
Voli sui tetti con le armi in pugno, in cerca del nemico, perché un nemico c’è, questo è sicuro, uno che te la sta tirando, che non vede l’ora di fregarti, o forse sei tu che l’hai creduto ma, nell’incertezza, è sempre meglio toglierlo di mezzo.
O sogni in un momento la tua vita e ti accorgi che è leggera come una foglia d’autunno, precipita in strada pronta per essere schiacciata dalle ruote di un auto, dal tacco di una donna, da un cucciolo bastardo che si ferma ad annusarla.
Il paese miserabile non è mai uno solo: lo sfruttamento è in serie, sono merci esposte sullo scaffale della prepotenza, scontate fino all’osso; un povero, si sa, si vende per un paio di sandali.
Ce l’hai davanti, spara! E’ un’ombra che oscilla, ma se sventagli una raffica continua, lo prendi di sicuro.
A volte sogni una specie di fantasma coperto da un mantello – ricordi Belafagor? La notte non dormivi, eppure continuavi imperterrito a guardarlo, attaccato alla Tv con la paura e il desiderio che apparisse, nei saloni del Louvre.
Insomma, Malcolm m’insegnò parecchio. Anche se non sai quanto di tuo ci sia nell’altro e quanto dell’altro in te; siamo come sposi uniti per caso in cerimonie dove il primo che spara sopravvive, e magari sogna, sogna di una strada buia che s’illumina soltanto per un attimo, il tempo di guardare negli occhi qualcuno che ti chiama, ti chiama eppure, ecco, un momento dopo svanisce, non c’è più.


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