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7 domande a Livia Candiani

Creato il 21 gennaio 2012 da Fabry2010

Pubblicato da giorgiomorale su gennaio 21, 2012

7 domande a Livia Candiani

Invito a leggere questa bellissima intervista di Mauro Germani a Livia Candiani: un’intervista tutta vita, parole sempre in ascolto e in scoperta. Buona lettura!

Quali autori in particolare sono stati fondamentali per la tua formazione?

Partendo dall’inizio, Saint-Exupéry del Piccolo Principe e Pascoli. Non andavo ancora a scuola e sentendo mio fratello imparare a memoria La cavallina storna, pensai fulmineamente: “Da grande voglio scrivere in quella lingua.” Del Piccolo Principe amavo la solitudine, lo spaesamento planetario, e gli amori, la rosa, la volpe, il serpente, amori che lo spingevano via, lo facevano sentire ancora più solo. E poi gli autori russi che erano di casa. Una volta che corsi singhiozzando dalla mia nonna russa, dicendo che non avevo amici, che a scuola non piacevo a nessuno, lei rispose enigmatica: “Quando leggerai i romanzi russi, lì troverai i tuoi amici.” E mi ha indicato un sentiero pericoloso, perché in effetti sono diventata una bambina divoratrice di libri, non per amore della scrittura o della cultura, ma perché cercavo amici. E li ho trovati.

Dall’infanzia mi è rimasto il bisogno di libri abitabili, libri in cui poter stare tutti interi, fare la conoscenza di qualcuno, accompagnarlo per un po’, vedere il suo percorso e possibilmente, e forse un po’ impudicamente, l’anima; non solo romanzi però, anche poesie e saggi aperti come quelli di Sklovskij o di Mandelstam che ti permettono un dimorare, sono vasti e caldi e accorati e ti danno una misura del mondo che lo rende più amichevole, più leggibile e più simpatico. E poi la poesia russa, Marina Cvetaeva sopra tutte e tutti, un grande amore. La sua scrittura appassionata e severa mi è stata maestra ma anche il suo modo di essere amante e scarsamente amata. “Esagerata, esagerata, cioè come nell’ora della nostra morte” ha scritto Marina, probabilmente ribattendo al giudizio sulla sua smisuratezza. Marina ha amato donne, uomini, bambini, animali, paesaggi, luoghi, case, libri con la stessa dismisura e imperiosità, con lo stesso senso tragico: io ti guardo mentre tu guardi da un’altra parte. Marina ha fatto dono della sua vita senza confezionarla, l’ha solo aperta con il bisturi precisissimo dei versi. Famelica. Mi ha nutrita e fatto sentire sorella, stessa famiglia, stesso sangue concentrato, stesso odore di kasha in corridoio, stessa fame.

E Pasternak, soprattutto Le onde, ma anche Mia sorella la vita, e i suoi saggi e le lettere agli amici georgiani, e quelle a Marina e a Rilke. Autori che aprono un modo di essere e non solo di scrivere. E ovviamente Rilke, la sua poesia religiosa, che cuce ovunque fili invisibili, nessi tra le cose, abitua all’abisso, quello sopra e quello sotto di noi, l’alto e il profondo, e dà mappe per l’attorno, mappe per gli orizzonti terrestri. Tutti autori che mi hanno fatto sentire meno pazza. In realtà, io ho sempre cercato di formarmi come essere umano e cerco di farlo tuttora, la poesia è un dono che arriva e lo prendo umilmente finché vorrà visitarmi. Non è romanticismo, è proprio un mestiere, il mestiere di ascoltatrice e assaggiatrice, assaggio quello che la vita mi manda, lo assaporo senza discussioni e poi ascolto e aspetto, certe volte molto trepidante, perfino furiosa e altre invece quieta e paziente, più raro, e poi arriva il dono, se sono vuota, se non chiacchiero vanamente con me e con le cose. E dopo ancora guardo, osservo, verifico se ho ascoltato bene o se ci sono interferenze, storture.
(continua qui)


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