da qui
E’ il punto più stretto del canalone nel deserto: Yehochoua è stanco e affamato, dopo giorni di digiuno. Si siede, appoggiandosi alla parete irta di spigoli. La vista si annebbia, la coscienza è legata a un filo confuso con gli strati multipli del canyon, un’ipnosi progressiva lo trascina in dimensioni più profonde, o più superficiali; l’ombra assume la forma di una donna magra, dai capelli rosso-biondo, coperta da un velo trasparente, con un seno scoperto perfettamente sferico. Gli occhi intensi, di un colore indefinibile, lo fissano senza lasciargli via di fuga; le sopracciglia fini, un sorriso enigmatico appena accennato e come scolpito nella roccia lo mettono alle corde.
Yehochoua cerca di decifrare i contorni della presenza vicinissima.
- Chi sei?
- Sono i tuoi sogni.
- Come ti chiami?
- Shlomtsione.
Il corpo nudo è una parete rocciosa che gira gira, con strati successivi che salgono a spirale verso l’alto, disegnando figure sempre nuove, un albero, una barca, un suonatore. Il buio arriva all’improvviso, con l’impressione di precipitare verso il basso, un colpo secco sulla polvere del canalone.
Le braccia magre non riescono a sollevarlo più di tanto.
- Cosa vuoi da me?
La donna comunica solo con gli odori, il contatto con la pelle consistente come l’aria e la roccia, invasiva e immateriale. Yehochoua vede le labbra avvicinarsi, sono a pochi millimetri dalla sua bocca screpolata, arsa di sete. Darebbe tutto per un sorso d’acqua, un pane duro, chi sei, cosa vuoi, con gli occhi di ghiaccio, il seno perfettamente tondo, il velo che non copre, la trasparenza che hai sempre cercato, la nudità del sogno, la sincerità del corpo senza maschera, gli strati della roccia, la terra secca del canyon, chi sei, che cerchi, vattene, vuoi farmi cedere, vuoi che mi lasci andare, le labbra, gli odori, la pelle contro il petto pieno di polvere e angoscia.