Questa settimana mi sono fermato più volte a riflettere sul perché la Gelmini odiasse tanto Scienze della Comunicazione e, per forza di cose, me ed i miei colleghi che l’hanno frequentata. Ho anche buttato giù una bozza di articolo con le mie personali conclusioni al riguardo poi, girovagando per il web, ho trovato l’articolo che riporto di seguito e che grossomodo afferma con più cognizione di causa ciò che avevo ipotizzato io nella mia, per così dire, ingenuità. Per non risultare ridondante e per non appropriarmi di quanto fatto dal sig. Gennaro Carotenuto, riporto il passo così come l’ho trovato, credendo che sia interessante per tutti coloro che frequentano o hanno frequentato la facoltà incriminata, o per quelli che si sono semplicemente appassionati alla vicenda. Alla prossima settimana!
di Andrea Mariani
“Nell’epoca della società dell’informazione, il Ministro dell’Università Mariastella Gelmini va in televisione (Ballarò, RAI3, servizio pubblico) a dichiarare che le Facoltà di Scienze della Comunicazione sono inutili. Gelmini (in buona compagnia, da Bruno Vespa a Maurizio Sacconi) prende così per l’ennesima volta partito dalla parte di un “fare” tecnico-scientifico sul quale investire (ma la realtà tremontiana è che i tagli sono anche lì) contrapposto ad uno sterile “pensare” delle scienze socio-umanistiche sulle quali considera bene invece disinvestire, nella presunzione che sia auspicabile una società zoppa in grado di reggersi prescindendo da una delle due gambe del sapere. E’ una guerra, quella di Gelmini, dichiarata fin dall’incipit della sua legge che, per la prima volta, espunge dalle funzioni dell’Università quella della trasmissione critica del sapere che perfino Letizia Moratti aveva mantenuto. Quello che il Ministro trova urticante, e vorrebbe quindi eliminare insieme alle odiate facoltà di Scienze della Comunicazione, è il fatto che migliaia di giovani acquisiscano nell’Università pubblica strumenti per decodificare e quindi difendersi dal monopolio informativo nel quale viviamo, dove la concentrazione editoriale e l’orientamento al profitto dei media è inconciliabile con l’interesse sociale al pluralismo garantito dalla Costituzione repubblicana. Così proprio nelle Facoltà di Scienze della Comunicazione (che qualunque studioso serio considera un motore del progresso economico e culturale nella nostra era post-industriale) il governo vede invece un pericolo per la propria narrazione sociale, per il proprio latifondo informativo e per l’egemonia sottoculturale incarnata dal gruppo Mediaset e più in generale dal berlusconismo. Nelle facoltà di Scienze della Comunicazione gli studenti non si preparano solo alle professioni della comunicazione di massa, d’impresa, pubblicitaria. Apprendono a pensare la comunicazione come plurale e partecipativa. Acquisiscono strumenti che permettono loro di inventare nuovi media altri. Studiano per innovare forme, tecniche e contenuti rispetto al format da pensiero unico sul quale si regge il modello. Lavorano per fare comunicazione e informazione con la propria testa e non per compiacere qualcuno. Nel latifondo mediatico berlusconiano si fa carriera col conformismo, l’omologazione, il servilismo. La colpa dell’Università pubblica (e delle Facoltà di Scienze della Comunicazione che Gelmini vorrebbe eliminare), è di offrire strumenti per stare con la schiena dritta ed insegnare a pensare e comunicare che esistono altre vie.”