da qui
Maria sta contemplando la statua di san Giuseppe, issata sulla sommità di un pannello in legno con bassorilievi di personaggi sconosciuti. A dire il vero non è certa che sia san Giuseppe, ma in fondo, cosa cambia? E’ il contatto con la dimensione ulteriore che conta, dunque un santo vale l’altro, le viene da pensare. In realtà, più che altro, è attratta dalla statua, la sicurezza che ostenta, l’impassibilità impermeabile a qualsiasi evento positivo o negativo. Le parrebbe utile, per uno scrittore, vivere così una parte del suo tempo, osservare i pellegrini che vagano per le navate, ognuno con un sogno inespresso e, proprio per questo, affascinante. Chissà quali preghiere sbocciano di fronte al pezzo di legno, immobile come se gioie e dolori degli oranti non lo riguardassero, anzi, fosse infastidito dagli occhi pieni di lacrime, privi di pudore, dalle frasi biascicate e incomprensibili, le litanie monotone che sfumano nel buio e nel fumo dei mozziconi di candela, senza ritmo né ordine; a Maria vengono in mente le scuole di scrittura, le tecniche per incanalare l’energia, limarla, renderla leggibile, perfetta nella struttura collaudata e la gradevolezza dei passaggi; si chiede se la tecnica non vada insegnata i primi anni di scuola, per educare i bambini alla disciplina di subordinate e coordinate, di punti e virgole e trattini di separazione, di alti e bassi emotivi, di descrizioni precise di dialoghi e ambienti, di analisi puntuali di sentimenti e sensazioni. Posa le mani sull’altare: sente la polvere che penetra nel palmo, nelle dita, si aggrappa all’orlo del maglione. Alza gli occhi verso la scultura impassibile, impermeabile all’angoscia della sua ricerca, all’impeto dell’ispirazione che l’assale a tradimento, al punto che afferra il notes dalla tasca e comincia a scrivere di getto:
Maria sta contemplando la statua di san Giuseppe, issata sulla sommità di un pannello in legno con bassorilievi di personaggi sconosciuti. A dire il vero non è certa che sia san Giuseppe, ma in fondo, cosa cambia? E’ il contatto con la dimensione ulteriore che conta, dunque un santo vale l’altro, le viene da pensare.
Si rende conto che non è la tecnica a guidare la mano, ma l’energia che scorre dalla faccia lignea, il fiume che perfeziona il suo percorso solo urtando contro sponde sempre nuove, di sabbia o di pietra o di cemento: il canale giusto si plasma correggendo ogni volta la rotta e lo scrittore, come il fiume, può apprendere solo dagli errori, s’impadronisce del mestiere lasciandosi andare nell’incontro con la statua che giace nell’inconscio, in ascolto paziente di frasi biascicate e incomprensibili, di litanie monotone che sfumano nel buio e nel fumo dei mozziconi di candela, senza ritmo né ordine. Maria sta piangendo: ha afferrato il segreto davanti al santo ormai invisibile dentro il fumo del cero acceso per la salvezza di don Faber. San Giuseppe, o chi per lui, il primo miracolo l’ha fatto.