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71. Come sempre

Creato il 27 maggio 2012 da Fabry2010

Pubblicato da fabrizio centofanti su maggio 27, 2012

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Te ne sei andato, Nino titubava troppo. Forse anche lui ha perso la speranza di tirarti fuori. Fuori da dove? Vaghi come un disperato, qualcosa dovrà pur succedere prima che sia troppo tardi. Hai pensato davvero di lanciarti da sei piani? E se ci ripensassi in volo? Ti sei chiesto spesso che cosa provi uno che si pente all’ultimo momento, fuori tempo massimo. All’improvviso, l’idea: corri, sarà la strada giusta? Ti lasci portare dal destino, se un destino esiste, e non si tratta di una presa in giro a cui conviene credere, per non dar di matto. Non guardi nulla di ciò che ti circonda, attendi che spunti, dietro l’angolo, oltre un filare d’alberi, al di là della barriera di macchine, pullman, cassonetti, oltre il mondo che serve per gestire il mondo, fino a perdere di vista l’essenziale, fino a convincerti che in un libro non conta sapere come va a finire, ma solo intuire la traccia di un percorso, la struttura di un racconto, perché le storie si sovrappongono sempre, sono tutte uguali, c’è qualcuno che ama senza esser corrisposto, un altro che odia e ha bisogno di ferire, qualcuno che cerca o fugge, s’illude o illude, e lette le prime venti pagine sai già che piega prenderà la trama, chiudi il libro e senti Veronica che dice ancora un poco, fallo per me, e sospetti che sia la bambina della bicicletta che non t’ha voluto rivelare il nome, che fa l’amore in incognito, si prende gioco di te, per l’ennesima volta, e pensi che il libro chiuso sia la vita, l’impossibilità di credere in qualcosa, di fidarti di qualcuno, e se vuoi lanciarti nel vuoto è per trovare chi si occupi di te, da vivo o da morto, non importa, qualcuno che si pieghi sulla tua miseria e dica poveraccio, chissà perché l’ha fatto e tu lo fisseresti con gli occhi sbarrati e inespressivi ma felici, finalmente, perché qualcuno t’interpella, un essere umano si è accorto che ci sei. Eccola, il destino non è cieco, ti ha condotto qui, oltre gli alberi, i pullman, i marciapiedi, oltre la vita che non sopporti più, solo l’altezza ti rincuora, ti propone il miraggio di una fine, una qualsiasi, il punto in cui si arriva all’ultima pagina e qualunque cosa faccia o dica, più avanti di là non si può andare. La torre punta verso il cielo, come un dito che chiede, esige, urla il suo perché senza risposta, come sempre.


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