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74. Fino a oggi

Creato il 30 maggio 2012 da Fabry2010

Pubblicato da fabrizio centofanti su maggio 30, 2012

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- Vuoi proprio saperlo?
- Sì, voglio saperlo.
Sei emozionato: oltre il ponte, le immagini sfumano, ormai sono una nebbia fitta che avvolge ogni cosa, tranne la parte della balaustra dove puoi leggere più distintamente, forse per contrasto: Fofner, sei la mia vita.
- Che strano, mi sembra di averla letta un’altra volta.
Nella nebbia intravedi una strada, dei pini, villette colorate che scorrono come dal finestrino di un treno in movimento. Sei in bicicletta. Su un prato a destra c’è un edificio basso, in mattoni screpolati.
- Dove? Sforzati di ricordare.
Ti accorgi di una scritta nera, molto calcata, qualcuno dev’essere venuto qui con un pennello e un secchio di vernice.
- Ci sto provando, sono passati anni.
Pensi: chi mai può chiamarsi in questo modo?
- Cerca di ricostruire lo stato d’animo, i sentimenti che provavi in quel momento.
Sei curioso, ti sembra che in quel nome si racchiuda il mistero da cui sei circondato. Ti viene in mente un piccolo terrazzo, giocattoli sparsi: un elefante in pezza, mezzo consumato, un orsacchiotto di peluche. Sotto, la via che porta a scuola, dove i compagni sono sempre più allegri e più in salute, ridono, si danno pacche sulle spalle, e tu li guardi intimidito, pensi: non sarò mai come loro. La maestra ha le rughe e una faccia abbronzata, lo sguardo dolce e fermo.
- E’ come fare un viaggio nel passato.
Uscite in gruppo, vi affacciate sulla scala dove i vostri genitori aspettano col volto sorridente o cupo o preoccupato. Tutti parlano, gridano, ridono, solo tu hai paura che ti spingano, fai attenzione a non cadere, cerchi di stare in piedi nonostante la stanchezza, il mal di testa perenne, e la vedi accanto a te, con gli occhi azzurri e vispi, il sorriso sghembo di chi vuol far capire e non capire.
- Sì, è proprio questo che deve succedere.
Le chiedi il nome, nel tentativo disperato di vincere la timidezza; lei ti guarda sorpresa, poi pronuncia una parola che in mezzo alla folla non riesci a decifrare e ti vergogni di dirle: puoi ripetere? Scusa, c’è chiasso, non ho sentito nulla.
- Cosa deve succedere?
Torni a casa più triste, passando accanto alla caserma dei pompieri, poi davanti al negozio che ripara biciclette, svolti nella strada di casa, cercando di ricostruire il suono che invece vola via, come una foglia secca, come auto che scorrono su un ponte.
- Ogni volta che si ama, si ritorna bambini.
Rallenti, ti fermi, quasi, in piedi sulla bicicletta: sì, qualcuno dev’essere passato col pennello, chissà da quanto tempo ci pensava, l’avrà fatto di notte, quando s’incontrano solo pazzi o innamorati, avrà posato il secchio, preso le misure e finalmente scritto lettera per lettera, con grande attenzione, come stesse annotando una parola magica, come se in quella scritta ci fosse il segreto della vita, che ti torna in mente solo a tratti, quando leggi, un giorno qualunque, in un punto del tempo e dello spazio, dove ti porta il vento, o un destino cieco, o una storia che qualcuno, chissà dove, chissà come, insieme con te, sta scrivendo a poco a poco, giorno dopo giorno, affacciato su un ponte in cui tutto ciò che è lontano, per un momento solo, si scopre vicino, anzi, è accanto a te, ti guarda, ti ascolta come nessuno, fino a oggi, aveva fatto.


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