Pubblicato da fabrizio centofanti su dicembre 2, 2011
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Bisognava conquistare il Nord, per impedire che il movimento si arenasse.
Le solite critiche: patteggia con i bianchi, ottiene che i ghetti si disinfestino dai topi; bella vittoria, dottor King!
Una rosa è una rosa, un labirinto di petali, un cartoccio rosso di sogni.
Fu allora che decisi per la marcia nel quartiere peggiore, il più razzista.
Due anni dopo, si sarebbero ribellati al mio assassinio, i negozi distrutti e saccheggiati, le case in fiamme.
Sì, una rosa è una rosa; non finiresti mai di contemplare i vuoti e i pieni, le curve che danno le vertigini, le pieghe morbide che non osi toccare, separare.
Partimmo tra due cordoni di agenti, in mezzo ai prati, potevi distinguere i bossi, gli agrifogli, i rododendri.
Il fuoco ha qualcosa di divino, o di infernale: ti stupisci di quanto un confine possa essere sottile, di come, tra inferno e paradiso, ci sia soltanto un passo.
Una rosa è una rosa: facilmente si trasforma in nuvola, in cirro dai petali sottili, in strato dal profumo acre di cielo, in cumulo da cui si sprigiona l’apice della seduzione.
Tutto normale, ci sentivamo sicuri, protetti dall’ordine pubblico, con le bandiere al vento e i cappelli a larghe tese.
I rivoltosi chiamavano la gente, dicevano di scendere per strada, che si sarebbe fatto un bel casino.
Una rosa è una riga scritta chissà quando, di certo un giorno che ancora ci credevi, ti sembrava possibile incontrarsi, ritrovarsi tra il mirto e la camelie, il ginepro e il caprifoglio.
Fino a che una specie di bastone volò in aria vorticando e atterrò a pochi passi dalla fila: risuonò un boato, come un colpo di cannone. Fu il segnale.
I pompieri srotolavano tubi dagli automezzi squassati dall’urlo di sirene azzurre.
Una rosa è un romanzo che dura per un giorno, eppure ha detto tutto della vita.
Cominciammo a correre, a sparpagliarci per il campo, un fiume umano seminascosto dalla polvere, avvolto dalle grida scomposte di assaliti e assalitori.
Al confine tra l’inferno e il paradiso, la città era una tuia bruciata dall’odio, un’ortensia calpestata dall’orda dei ribelli.
Una rosa è un bambino che ha bisogno di conforto, strappato dalla vita, offeso dal cinismo, ferito dalle spine invisibili dell’arroganza.
La marcia era un serpente impazzito che si contorceva in ogni direzione; i colpi arrivavano anonimi e inattesi dentro il polverone che cresceva, il vociare in cui non distinguevi la richiesta d’aiuto, l’insulto, la bestemmia.
Chicago è una stella esplosa, supernova che non smette di sputare detriti trasformati in piombo, uranio, iodio, tungsteno.
Una rosa è una rosa, ma anche una donna che si chiede perché, che appassisce giorno dopo giorno come un fiore che non sboccia, piange in silenzio, mentre la notte si adagia accanto al letto e si tira fino al mento la coperta di nane e di giganti rosse, Regolo, Lacertae, Aldebaran.
Raccontai tutto: il sasso che mi aveva colpito, il coltello che aveva fischiato a qualche centimetro dal volto.
Chicago è un forno fumante e gli angeli faticano a volare sui getti d’acqua delle pompe.
Una rosa è una donna che sogna di fuggire, una riga scritta sul riflesso sottile del tramonto.