da qui
La parete gialla è scrostata in più punti. Nello spigolo si scorgono le righe dei mattoni, mezzo coperti dall’edera a coda di scorpione. Le volte a crociera sono mangiate dal tempo, rivelano l’interno ruvido di ogni superficie liscia, come la vita. Nel corridoio gli oggetti si ammassano in modo sempre più caotico: armadietti, materassi, scatoloni; il rovescio dell’universo produttivo si rivela nella serie di oggetti che ingombra la corsia fino a rendere impossibile il passaggio, salvo al gatto nero che ondeggia scuotendo la coda e ruotando la testa in cerca di qualcosa da inghiottire. Teodora e Olivia hanno appena finito di lottare: ormai è una pratica sportiva, sublimazione delle spinte aggressive liberate ogni volta che le visioni del mondo differiscono. Non importa chi la pensi in un modo e chi in un altro: a contare sono le linee parallele dei pensieri, l’incrociarsi e il perdersi di nuovo, gli alti e i bassi dei ragionamenti, la spirale del senso sempre più sofisticato, come se la scelta nascesse solo da un’opposizione, uno scontro sanguinoso, e il romanzo più riuscito fosse quello scritto in dialogo serrato col lettore, perché solo da una certa distanza si vedono le crepe, gli strappi della pagina come della vita, da osservare attentamente, non per ripararli, ma per renderne al meglio i cedimenti, i traumi, le rotture, se è vero che la forza del racconto non sta nel personaggio perfetto – come vorrebbe Olivia -, ma nella riproduzione fedele di ogni guasto, breccia, fenditura, nell’odore della polvere, la traccia bavosa dello sporco, l’avanzare della ruggine e il persistere dell’avaria. La moralità dello scrittore, per Teodora, risiede nel rigore del suo laboratorio, nel sorprendersi per primo delle verità rivelate tra una mossa d’attacco e una di difesa, un’imprecazione e una caduta, una ferita e un grido di vittoria.