da qui
Saulo ha deciso di passare la notte in ospedale, vegliando per don Faber. Cosa farà per ingannare il tempo? Non ha intenzione di parlare con parenti, collaboratori o amici del paziente; si sa come va a finire, in questi casi: rimpianti, nostalgie, crisi improvvise, tutte cose da cui fugge come dalla peste. Dormire è impossibile: per la luce, i rumori continui, la tensione che si taglia col coltello. Decide d’impegnarsi in un’attività che lo rilassa: passare in rassegna gli incipit di romanzi mandati a memoria fino a oggi. L’inizio di un libro lo ha sempre affascinato per quella scommessa che si gioca tutto in poche righe; se la partenza è sbagliata, la storia finisce prima di iniziare.
Cominciamo da Giovanni Arpino, dice fra sé e sé. L’ombra delle colline:
Sapevo di sognare.
La salita era ripida, il sentiero appena tracciato tra le erbe andava su con brusche curve, ogni tanto rabbuiandosi tra le acacie che si sporgevano a grappoli, a ombrello. Tutto pareva felice intorno, in un ordine e silenzio assoluti.
Un esordio perfetto, che mette in medias res. Quel sogno confessato crea un’atmosfera piena di richiami, perché la letteratura è sogno e solo in sogno tutto può essere felice e il silenzio e l’ordine possono essere assoluti.
Vediamone un altro. Il cacciatore di Aquiloni:
Sono diventato la persona che sono oggi all’età di 12 anni, in una gelida giornata invernale del 1975. Ricordo il momento preciso: ero accovacciato dietro un muro di argilla mezzo diroccato e sbirciavo di nascosto nel vicolo lungo il torrente ghiacciato. È stato tanto tempo fa. Ma non è vero, come dicono molti, che si può seppellire il passato. Il passato si aggrappa con i suoi artigli al presente. Sono ventisei anni che sbircio di nascosto in quel vicolo deserto. Oggi me ne rendo conto.
Ormai sei preso e non puoi tirarti indietro. Stasera, però, ho bisogno di un incipit che sia più in tema con la situazione; Beckett, per esempio, Malone muore:
Comunque, fra poco sarò morto del tutto, finalmente. Il mese venturo, forse. E allora sarebbe il mese di aprile, o di maggio. Perché l’anno è poco inoltrato, me lo dicono mille piccoli indizi. Può darsi che io mi sbagli e giunga anche più in là di San Giovanni, e anche del Quattordici Luglio, festa della libertà. Ma cosa dico mai, sono capace di arrivare sino alla Trasfigurazione, mi conosco bene, o all’Assunzione. Ma non credo, non credo di ingannarmi dicendo che queste solennità si celebreranno senza di me, quest’anno.
Sì, tutto dipende dall’inizio, come nella vita: non sono i primi anni quelli che ti segnano per sempre? E che fatica correggere, se sei partito male; ricorri ai trucchi e alla supplica, al ragionamento e alla violenza: ma i primi segni incisi nella carne, le parole, gli eventi, te li porti dentro come un ritmo che t’insegue anche se non vuoi. L’incipit della vita non dipende dalla nostra volontà; come la fine: non siamo noi a deciderla, a meno di non voler costringere il destino a una forzatura che stona, inevitabilmente. Comunque, fra poco sarò morto del tutto, finalmente. L’inizio del romanzo è la rivincita dello scrittore, che non ha potuto scegliere per sé e allora sceglie per i personaggi: Malone nasce sapendo che fra poco morirà, a San Giovanni o il Quattordici Luglio. Don Faber non sa se supererà la notte, a meno che qualcuno non stia scrivendo la sua storia, prendendosi a sua volta la rivincita sulle scelte che non ha potuto compiere, sulla felicità che, una volta per sempre, gli è sfuggita. La storia siamo noi: chi la sta scrivendo? Chi sa come tutto andrà a finire?