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78. Quella cosa

Creato il 04 dicembre 2011 da Fabry2010

Pubblicato da fabrizio centofanti su dicembre 4, 2011

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E’ un albergo sobrio, con ringhiere e serrande verde chiaro, un edificio dove sembra non accada nulla, nella vita. Lo si può vedere da varie angolazioni, e più lo osservi più ti convinci che certamente no, qui non accadrà mai nulla.
I netturbini protestano, vogliono lo stesso trattamento, lo stesso contratto di lavoro. Il clima è teso, violenze, assemblee, sit in e boicottaggi.
Sotto, ci sono auto bianche parcheggiate, le limousine americane che non sai mai come possano trovare spazio negli alveari cittadini.
Le minacce piovono, arrivano le voci, cosa vogliono farmi, cosa stanno preparando, e chissà cosa mi succederà.
La scritta bianca sullo sfondo nero campeggia sulla parete beige; tutto parla di discrezione e anonimato, persino il cielo sembra schermirsi in un silenzio opaco.
Ma devo dire che questo non mi tocca, da quando ho sentito l’odore delle vette, non m’importa di come può finire, da quando ho respirato l’aria dell’altezza.
L’insegna è più visibile: in rosso, giallo e verde cerca di attirare l’attenzione, come a dire: guardate, qui c’è vita, ma rimane l’idea che certamente nulla potrà rompere il silenzio, nulla potrà squarciare la cortina d’insignificanza del motel.
Non mi preoccupo di una lunga vita, ma che nella mia vita, lunga o breve che sia, appaia una traccia di Dio, un riflesso visibile del suo progetto.
Visto da lontano, sembra una fabbrica in disuso, un magazzino preda delle erbacce.
E il progetto è salire, arrivare in vetta, poter vedere, per la prima volta, dalla parte opposta, il versante luminoso della terra che i padri hanno sognato, per cui le nostre madri hanno pianto, nel silenzio angosciante della notte.
Da qui, invece, sembrano gli stabili dei quartieri alti, dove le signore non ti guardano in faccia, dove sei indegno dell’attenzione della gente; e ricordi la timidezza di quand’eri piccolo, la sensazione di trovarti dove non dovevi, la paura, e lo sguardo cercava ansioso la cravatta di papà, gli occhiali scuri di mamma.
Ma io vi dico che un giorno ci entreremo, quando non so, ma metteremo i piedi sull’erba bassa di quello che chiamiamo paradiso, anche se non lo abbiamo mai toccato, anche se il nostro desiderio non riesce a immaginarlo.
Puoi scegliere di inquadrare l’insegna tra le nuvole, e allora ti pare che il cielo sia la stanza, l’azzurro il letto dove potrai finalmente riposare.
Non ho paura di nessuno, perché la gloria ha brillato nei miei occhi, e non può temere chi ha visto la gloria del Signore.
Non accade nulla nel motel dalle serrande verdi; forse solo oggi fa eccezione, mentre lui sta parlando con gli amici, sul balcone della stanza del secondo piano, e un fucile a cannocchiale spara, da sessanta metri, dal finestrino del bagno di uno squallido hotel di fronte al suo: ho una notizia gravissima da darvi, il nostro amico è morto, è stato assassinato.
La luna si vede da ogni angolo del mondo: chissà, magari un giorno costruiremo una scala, un ponte per arrivarci a piedi, e scopriremo che la meta è molto più vicina e i fantasmi, che ci hanno visitato nelle notti piene di stelle, non vedevano l’ora d’incontrarci per spiegarci a modo loro, con la voce bassa dei sogni, che esiste davvero quella cosa che quaggiù chiamiamo libertà.


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