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79. Il gabbiano

Creato il 22 febbraio 2012 da Fabry2010

Pubblicato da fabrizio centofanti su febbraio 22, 2012

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Quanto ci vuole per arrivare giù? Il vento è una carezza gelida che fatica a regalarti un po’ di tenerezza. Tutta la vita in un momento, dicono; è vero: le immagini di te bambina, i colori del tramonto, la sabbia che scotta, il compagno di scuola con la mano macchiata dalla penna stilografica. Cosa penserà? Avrei potuto aspettare, lasciarmi prendere dalla sua mano forte, lasciarmi guardare dagli occhi neri e dolci: vi leggevi una nostalgia sfuggente, quasi gli pesasse conoscere i pensieri, non poter fare a meno di vedere dentro il dolore della gente.  Avrebbe preferito non sapere nulla, essere cieco come gli altri, non accorgersi del turbamento della madre ansiosa, della gelosia della ragazza, dell’ira repressa del padre di un figlio buono a nulla. Cosa starà pensando, adesso che plani verso la folla che guarda verso l’alto, gridando parole incomprensibili, i vigili del fuoco con le divise verde-scuro a strisce gialle che mandano bagliori, la città che si sveglia dal sonno per seguire l’angelo caduto che riattizza, col filo a piombo della morte, ogni senso di colpa sepolto nel passato, come se ognuno fosse responsabile e se qualcuno muore un poco c’entro anch’io, in pensieri parole opere e omissioni. Avrebbe voluto provare l’ebbrezza soffice dell’ignoranza, il panico di chi non sa qual è la fine, anche la tua, il film della vita che contempli come appartenesse a un altro, come se alla fine potessimo pesare i nostri gesti, le scelte, le parole, sulla bilancia dello sguardo impassibile di un dio: a proposito, Ester, tu ci credi in Dio? Non ti è venuto in mente di pregarlo, di chiedere perdono, di affidare a lui o a chi per lui il fardello di un’esistenza insoddisfatta, che solo adesso si accorge del valore delle cose, lo sguardo del bambino che vede l’invisibile, il sussulto dell’innamorata quando l’amato sbuca dall’andito di fronte, il volo del gabbiano che vorrebbe insegnarti il segreto per correggere la rotta, riprendere quota, lanciare il grido di vittoria sulla pesantezza insostenibile del mondo. Avrebbe il piacere, l’uomo dagli occhi neri e dolci, di scoprire che l’impatto non sarà con l’asfalto rugoso, col sangue che schizza da ogni organo del corpo, ma col telo che i vigili dalle strisce gialle tendono esattamente sotto il tuo volo incongruo di gabbiano che almeno ha imparato ad atterrare, a svenire dolcemente sul lenzuolo bianco dell’altro che ti attende, dell’altro che ti salva. Non l’avesse saputo, avrebbe urlato il suo dolore, e invece la mano tesa è un saluto da lassù, un sorriso, appena il tempo di rimettere la sciarpa all’interno del cappotto, ed è sparito.


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