da qui
La moda è la morte della letteratura. Ci sono scrittori che si orientano su temi giudicati imprescindibili dalla mentalità corrente. Cloe rabbrividisce di fronte a fenomeni che ritiene degradanti. Anzi, l’abitudine invalsa di ripetere cliché l’ha allontanata per sempre dalle lettere, ha causato un rigetto per cui ora, se s’imbatte in una pagina, si esercita a non leggerla, estendendo la pratica a ogni traccia di scrittura che si trovi nel mondo circostante. L’impresa ha i suoi lati positivi: il lavaggio del cervello per clienti dall’acquisto facile non la riguarda neanche da lontano; è libera di aggirarsi per le vie della città senza avvertire la compulsione che imbriglia gli abitanti, compreso il prete che fa riserva d’incenso o di vino per la messa. Lei non ha catene, vola: soprattutto da quando ha scelto di percorrere ogni giorno una ventina di chilometri in sella alla bicicletta bianca e gialla, capace di lanciarla a velocità impensate sul lungomare pieno di pini e panorami, che l’attraggono al pari di sirene seducenti, ora sotto forma di onde schiumose come in certi quadretti artigianali della Cina, ora di palme spelacchiate a causa di batteri che le divorano inesorabilmente, ora di stabilimenti mezzo scheletriti dove s’indovinano movimenti di coppie in cerca di riparo dagli sguardi, ora di file infinite di macchine in coda per un posto, sospinte da parcheggiatori scuri e mezzo sbronzi, ora di muretti bianchi, cactus, negozi di costumi, in un caleidoscopio che rischia di far perdere il filo, rintracciabile solo in una corsa in direzione ostinata e contraria, alla ricerca di un’ispirazione che la salvi dalla schiera degli imitatori, il gregge squallido dei ripetitori incatenati alle leggi del mercato, alla moda che è la morte della letteratura e, secondo lei, di tutto il resto.