E benché molti ormai andassero a cercare Fabricius, quando la sua reputazione si diffuse nella Marca come le rondini in primavera (insieme, bisogna dire, alle maldicenze, che come le male erbe sono impossibili da estirpare), egli non chiedeva i natali a chi gli si avvicinava, né luogo di nascita, né mestiere, né stato. Dopo però alcune cattive esperienze, da lui scherzosamente definite “bidonate” (dal nome che al Nord della Francia danno al vaso che contiene il vino per una compagnia di dieci, e il vino pare sufficiente e non basta mai), pretendeva a chi volesse accompagnarsi a lui di raccontare prima una storia, non importa se vera o fabbricata lì per lì. Tanto bastava a smascherare coloro che non erano puri di cuore, o nascondevano seconde intenzioni, fini inconfessabili, o volevano appropriarsi delle elemosine per i veri poveri, o soltanto riempirsi la pancia di pane e vino e andarsene via gonfi come galline all’ingrasso. Fabricius capiva il materiale delle storie, da dove esse venivano, e da dove veramente proveniva chi quelle storie portava in giro. Perché le storie possono essere fantasiose e irreali come sogni, ma non per questo essere meno autentiche; mentre anche le storie in apparenza realistiche possono nascere dalla frode e nascondere un raggiro. Soltanto chi sa che la vita è una storia può delle storie vedere le insidie. Ma chi racconta storie autentiche crea narrazioni, insegna agli uomini a pensare a se stessi senza indulgenza o compiacimento, come fanno i bambini. Insegna agli uomini a pensare se stessi. Ecco perché il novelliere, se sincero, è vicino all’arte di Dio, che detta il racconto che nessun uomo da solo sarà mai in grado di scrivere.
Il vescovo Manfredo era rimasto confuso nella sua visita pastorale quando Fabricius lo accolse insieme a uomini e donne di ogni condizione e stato e gli disse semplicemente: «Benvenuto tra noi, benvenuto nella nostra storia». Tanto confuso che scrisse una lettera al papa a proposito dell’ortodossia di Fabricius, che pareva avere una parola di pace per chiunque, e non chiedeva prima «Chi sei?» ma «Dimmi una storia», ma poi si pentì di averla spedita, perché Fabricius non aveva composto alcuna opera di teologia da poter esaminare, e raccogliere testimonianze sarebbe stata cosa lunga e inconcludente. Non sapeva, il vescovo, che i Minori già avevano iniziato le loro inchieste segrete in civitate Civetiense.
Una volta Fabricius sorprese un giovane che inveiva contro la madre: «Non rompere le mie palle!» Fabricius prese il giovane per le orecchie e gliele tirò forte. «Come puoi dire una cosa del genere a chi a te ha dato la vita? Dilla piuttosto ai masnadieri e uomini di malvagia vita e condizione con li quali incautamente ti accompagni! O piuttosto taci!» E davanti al viso contrito del giovane, pentito della sua insolenza, disse allora che all’epoca dei Padri, un grande uomo sapiente si era tagliato i testicoli per non doversi esprimere similmente a causa delle continue richieste dei suoi fratelli. Aggiunse però di non seguire in quello il sapiente Origene Alessandrino, perché è meglio arrivare al termine della nostra vita, e al nostro creatore, quanto più integri possibile. Già è arduo sostenere la normale usura del tempo, non aggiungete di quella fatta da noi, diceva.
Franziscus Krustencoma, il fornaio todesco, sogghignò e disse allora che era evidente che il sapiente Origene non sapeva che farsene, delle sue palle.
Il manoscritto si interrompe qui, al foglio 8. Un altro foglio inserito nel quaternus elenca alcune opinioni corredate con note. Il titolo reca l’iscrizione: Hic incipit Fabricii Elementatio Theologica.