
da qui
Saulo si addormenta sulla panca. Sogna di onde che vanno a infrangersi contro una scogliera: prendono la rincorsa raccogliendosi in sé, poi si abbattono con tutta la forza contro una linea scura di rocce, sommergendola. A volte, la potenza del mare fa esplodere un caleidoscopio di schizzi che invade tutto lo schermo del sogno, anzi, trabocca, scivola lungo il viso di Saulo come una specie di bava fastidiosa, in rivoli che vanno a infilarsi nel collo sbottonato della camicia azzurra. D’istinto, porta il palmo della mano verso il volto e prova a spalancare gli occhi: è una fatica innaturale, come dovesse sollevare la saracinesca di un negozio. Nella fessura che è riuscito a creare, vede figure scure, con le mani occupate da bombolette spray. Comprende il pericolo: con uno sforzo estremo si alza e comincia a gridare, svegliando tutto il gruppo dei parenti – fedeli – amici, i quali scattano all’istante sotto la spinta dell’adrenalina, del nervosismo e dell’ansia accumulata. I tre figuri sono incappucciati: si riesce a scorgere gli occhi, la punta del naso e la bocca sovrastata da baffi radi e incolti. Uno dei tre estrae una Smith & Wesson M4505 e la punta a due mani contro la piccola folla, lasciando capire che potrebbe far fuoco da un momento all’altro. Il solito barbone – quello del colpo accidentale finito nello stomaco del prete – non ci pensa due volte: salta alle spalle dell’incappucciato e gli afferra saldamente le braccia. Anche questa volta parte un proiettile che va a colpire un quadro appeso alla parete con l’immagine di una margherita su uno sfondo di fiori sfocati e non riconoscibili, come se solo lei, con le cinque foglie gialle e la corolla arancione, dovessero prendere il campo, attirare gli sguardi, mentre il vetro a protezione va in mille pezzi che si spargono nella sala d’attesa, vanno a infrangere il quadrante dell’orologio a muro che segna le due e quarantacinque, e ora si fermerà, probabilmente, come tutto il resto: i rapinatori, Saulo, i parenti – amici – fedeli, incantati davanti alla nube di frammenti che sembra quasi neve e la stanza potrebbe essere un presepe se non fosse che il barbone è ancora appeso all’uomo incappucciato e comunque manca un bambino da adorare; il pensiero andrebbe invece a Erode, intenzionato a far strage di innocenti, e l’uomo dalla Smith & Wesson certamente vuole uccidere don Faber, ma Saulo e il barbone hanno mandato tutto a puttane, maledetti, non resta che sparire più in fretta che si può, e ora infatti si scrolla di spalle l’ubriacone, fa una specie di fischio ai complici col cappuccio nero e in men che non si dica il corridoio bianco in fondo alla sala li inghiotte senza lasciarne traccia. In quel momento, un’infermiera tutta bianca si affaccia dalla porta del reparto e guarda con aria severa la piccola folla ancora a bocca aperta:
- Se continuate a far rumore, vi faccio andare via.
Poi vede un foglio di carta che dondola sul pavimento, lo raccoglie e legge ad alta voce:
- Ricco Barocco… E non gettate carte in terra, per piacere!
Mentre l’infermiera sparisce nel reparto – e non si capisce come le siano sfuggiti i mille pezzi di vetraglia che riempiono la sala -, il telefono di Saulo squilla con un motivo jazz di Chick Corea, Light as a feather.
- Sono Maria!
- E’ successo di tutto.
- Lo so.
- Come fai a saperlo?





