Pubblicato da fabrizio centofanti su marzo 2, 2012
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Sei confusa. La casa è piccola, ci sono foto e disegni che non riesci a interpretare: un uomo con un bambino in braccio, entrambi col volto velato da una macchia luminosa; due personaggi seduti in posizione yoga; un uovo bianco in una buca nera. L’uovo! Cosa ti ricorda? L’origine, il punto da cui nascono le storie, forse anche questa che stai vivendo tu, sul punto d’interrompersi ieri e invece ancora qui, tenace, irriducibile, non per merito tuo, ma dei vigili-strisce gialle e dell’uomo dalla pelle olivastra che ti ha portato a casa sua, immersa in poster di donne velate, di moschee dai soffitti traforati, di strade piene di macchine sventrate e cadaveri sparsi sull’asfalto. Piove; Fawzi parla e tu ascolti solo il suono della voce calda, lenta, sei attratta dalle gocce che si posano sul vetro, leggi in ognuna la traccia di un ricordo: una corsa a Villa Borghese, con la camicetta zuppa e lui che t’inseguiva al tempo in cui era innamorato; una strada deserta e una panchina in cui si concentrano le assenze di una vita; un viale d’alberi allagato, in cui avresti voluto nuotare fino ad arrivare dalla parte opposta del mondo.
- A cosa pensi?
- Scusami, sono ancora turbata.
- Non hai bisogno di giustificarti: dopo un volo come quello, ti si perdona tutto.
Cosa vorrà da te? Ti chiedi se la vita sia incontrare ogni volta qualcuno che promette di salvarti e poi ti uccide. Lo farà anche lui? Vorresti essere nuda, correre come allora tra i pini e le fontane, farti prendere ancora tra le braccia: ma dov’è il tuo uomo? Si sarà interessato alla tua sorte? Avrà saputo che hai corso il rischio di morire?
- Sarei io a dover perdonare.
- Ti hanno fatto del male?
- Ho scelto una persona costretta a ferirmi, perché era già di un altra; o non era di nessuno.
Come può capirti? Siete gocce appiccicate al vetro, ognuna racchiude un suo ricordo, una piaga, una vendetta, l’eco di un tempo che non può tornare.
- Fai come me: devi essere di Allah e di nessun altro. Solo lui non ti delude.
Ti stringe contro la quercia, la camicia è una pellicola d’acqua che non si distingue dalla pioggia: Fausto, mi amerai per sempre?
- Mi deludono tutti, ma soprattutto io: ogni volta sbatto la testa contro un limite e si spalanca il vuoto, solo che qui dentro non ci sono teli né vigili dalle strisce gialle e la divisa verde scura.
- Vuoi venire con me?
- Dove?
- A far saltare un palazzo.
L’occhio ti cade sui cadaveri rossi, sulle gocce di una pioggia di sangue confusa con le mani umide di Fausto, il tuo ventre che trema mentre lui ti accarezza e ti risponde sì, sì, ti amerò per sempre.