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La trama (con parole mie): Jack Gramm, psicologo noto in tutti gli States per i suoi studi sui serial killer, è stato con la sua testimonianza determinante per l'incriminazione di Jon Forster, pazzo maniaco omicida condannato a morte.A dieci anni di distanza, proprio negli ultimi giorni di vita del criminale, Gramm viene minacciato telefonicamente da un individuo misterioso che dichiara di lasciare allo studioso ottantotto minuti di vita, gli stessi che uno squilibrato aveva impiegato per uccidere la sorellina del protagonista decenni prima.Senza sapere da che parte girarsi e con vittime che cadono per mano di un killer che pare avere lo stesso modus operandi di Forster, di fatto fornendo allo stesso un appiglio per un ricorso alla sentenza, l'uomo dovrà cercare di portare a casa la pelle e, nel frattempo, risolvere il caso.Peccato che, invece di un serratissimo thriller d'autore, ci si trovi nel pieno di un film da sabato sera su Italia Uno.
A volte è proprio strano come un film riesca ad entrare nella nostra vita di spettatori.
Con tutt'altro programma in mente, in casa Ford ci si accingeva a dare inizio alla consueta visione da divano e relax serale quando un canale televisivo - e non accadeva dai tempi di 2012, sul finire dello scorso anno - è riuscito nell'impresa di rapire Julez approfittando di una distrazione del sottoscritto propinandole una consistente dose - ovviamente per lei irresistibile - di morti ammazzati, portando così ad un cambio repentino del programma e alla visione di un film che, tutto sommato, io stesso ho pensato non potesse essere così agghiacciante, considerata la presenza di un mostro sacro come Al Pacino.
Peccato che, per non essere da meno rispetto al suo vecchio rivale Robert De Niro, anche il nostro indomabile ex avvocato del Diavolo abbia deciso di buttarsi nel trash - ricordiamo la sua vittoria agli ultimi Razzie Awards - dando importanza, probabilmente, solo al cachet preoccupandosi poco o nulla della credibilità persa rispetto ai fan della prima - e non solo - ora.
Senza contare il colpevole individuato come se nulla fosse alla prima scena, con la frutta e la torta al cioccolato ancora da mettere sotto i denti ed il whisky e coca ad aspettarmi, sequenza dopo sequenza nella mia mente si è fatta strada l'impressione che l'impianto narrativo - decisamente scarso -, la presenza di Pacino e l'incedere che avrebbe voluto essere tesissimo ed invece pareva quantomeno inverosimile - per usare parole misurate e gentili - ricordassero un'altra ciofeca dura e pura che ebbi la sfortuna di sorbirmi a causa di una recensione qualche anno fa, Sfida senza regole, occasione per la quale i due rivali per eccellenza nonchè simboli della figura dell'attore americano sarebbero tornati a recitare fianco a fianco dopo le esperienze de Il padrino - Parte II e Heat - La sfida.
Inutile dire che, in quell'occasione, la mia reazione fu piuttosto scomposta, e le bottigliate mulinarono a destra e a manca.
Inutile dire che non sono rimasto affatto stupito, date le suddette impressioni, di scoprire che a dirigere 88 minuti era lo stesso Jon Avnet del poco sopra menzionato Sfida senza regole.
Questo perchè entrambe le pellicole riescono nell'intento di svilire il loro genere con una facilità quasi irrisoria, grazie ad uno script al limite del ridicolo e ad un'atmosfera che ricorda le migliori - e non in senso positivo - serate "ad alta tensione" che Mediaset propinava qualche anno fa nel weekend, ben conscia degli ascolti più bassi nelle serate più movimentate per il pubblico.
Devo comunque riconoscere un paio di pregi, a questa discutibile e dimenticabile pellicola: per prima cosa - grazie ai morti ammazzati e all'intrigo da crime story - è riuscita a tenere Julez sveglia con un'efficacia decisamente maggiore della media dei film d'autore che cerco di propinarle, inoltre occorre ammettere che lavori come questi, probabilmente commissionati a mestieranti di poco conto come Avnet, risultano talmente "leggeri" nell'impegno richiesto da non mettere alla prova praticamente alcun genere di spettatore, garantendo di fatto il raggiungimento della fine del film senza colpo ferire, colpi di sonno o colpi scagliati contro il televisore in preda alla rabbia.
Una toccata e fuga che non influisce dunque più di tanto sugli equilibri di uno cinefilo esigente - che la vedrà come una scialba evasione dei neuroni - così come sull'immaginario del pubblico capitato per caso davanti allo schermo - che non avrà mai e poi mai il coraggio di affermare di aver visto un gran bel film, ma che, comunque, risulterà soddisfatto -, e di fatto, oltre a mettere a nudo i limiti di script e regia, non fornisce nient'altro che quello che tanti action movies regalano spesso e volentieri senza porsi alcun limite di decenza.
Certo, una piccola dose di ironia in più non avrebbe guastato, ma è sempre difficile pensare di riuscire ad inserirla all'interno di un contesto "oscuro" come quello della materia sollevata da omicidi e serial killer, specialmente se dietro la macchina da scrivere e da presa non ci sono elementi particolarmente dotati: peccato per Pacino, che inanella il secondo passo falso con lo stesso regista neanche dovesse ad Avnet dei soldi, o l'amicizia con il suddetto inibisse al protagonista di pietre miliari come Carlito's way o Scarface la capacità di distinguere una marchetta in formato televisivo da un potenziale cult.
MrFord
"Per vederci un po' più meglio in fondo al fosso, in fondo al fosso.
Ci saranno camomilla e rosmarino in fondo al fosso.
E cicuta e biancospino ed un fringuello e un pettirosso.
A guardare il mio destino malandrino in fondo al fosso.
Sette denti d'assassino e qualche osso,
da lasciare dove stanno,
stanno bene in fondo al fosso."
Francesco De Gregori - "Fine di un killer" -
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