da qui
I colori sono il giallo delle brassiche selvatiche – raccolte in macchie sparse fino all’orizzonte -, il verde dei prati interrotto dall’argento degli arbusti, l’ocra del sentiero che si allunga zigzagando, il verde di querce, pini e tamerici, il bianco del tetto di una fabbrica che riflette un raggio di sole sfuggito allo sbarramento delle nuvole, l’azzurro del lago e l’ardesia di colline che sfumano dove il cielo tocca terra e impedisce di pensare che la materia sia l’ultima parola. Yehochoua cammina lentamente, cercando il colore più adatto alla sua vita, uscita dal grigio da quando il fiotto d’acqua gelida lo ha investito sulla riva del fiume. Gli sembra tutto nuovo, anche se tutto è come prima; un velo si è squarciato, lasciando traboccare i sentimenti, i pensieri cui non riusciva, finora, a dare un nome. Aveva vissuto in bianco e nero, assorto in progetti in cui finiva per restare imprigionato; solo adesso comprende dal di dentro la legge che dal bruco forma la farfalla, dal fiore il frutto, dalla parola il fatto; ora sa che le notizie provenienti dal mondo non coincidono con la realtà, benché siano in grado di descriverla in modo ineccepibile; basterebbe una mappa a rendere conto della scena che ha davanti: una linea a zigzag per il sentiero, una macchia gialla per le brassiche selvatiche, una spruzzata di grigio per gli arbusti, una mano di verde per il prato; l’occhio registra forme e proporzioni, ma solo il cuore coglie la notizia buona del battito improvvisamente accelerato, della figura femminile intravista oltre la curva, sempre più vicina, la donna-occhi neri che lo guarda dal basso verso l’alto, capelli sciolti che cadono sul collo, labbra e naso scolpiti nel marmo, come il raggio che oltrepassa lo sbarramento incerto delle nuvole, eccola, è già qui, come ti chiami? mi chiamo Magdalenne.