Di mafia e di antimafia abbiamo già parlato: muovendoci dai libri alla realtà, per raccontare la condizione di un paese che si è dimostrato troppo spesso incapace o, più colpevolmente, non sufficientemente deciso ad affrontare le proprie questioni interne, il proprio passato, i troppi scheletri nell’armadio e le troppe ombre che ne hanno costruito la storia.
Le singole individualità diventano allora simbolo, incarnazione di una possibilità reale e concreta che va però costruita collettivamente, socialmente; ed è ancor più importante che di queste persone non si perda la memoria. Mai. Non c’è bisogno di voci a gridare nel deserto, c’è bisogno di declinare quelle esperienze – con il loro portato di coerenza, ribellione e dolore – nel vivere di tutti i giorni.
Trentatré anni fa, a Cinisi, Palermo, viene codardamente e brutalmente ucciso Peppino Impastato.
Nato in una famiglia ben inserita in ambienti mafiosi, si avvicina alla politica durante gli anni del liceo, spinto dalla necessità di rompere con un sistema familiare e sociale a cui si sente estraneo e che, negli anni che seguono, combatterà senza sosta.
È la fine degli anni Sessanta, l’inizio dei Settanta, un periodo fervido di mobilitazioni, di partecipazione. Peppino è attivo, non si dà tregua, organizza i giovani del paese, si dedica all’agitazione culturale, all’attivismo politico. Teatro, cinema e giornalismo e ancora il circolo “Musica e cultura”, che vede nascere al suo interno il Collettivo femminista e poi quello antinucleare, le lotte dei contadini espropriati contro la costruzione della nuova pista dell’aeroporto di Punta Raisi.
Poi l’esperienza fondamentale di Radio Aut: dai microfoni dell’emittente di Cinisi, Peppino Impastato, senza indugio, denuncia gli affari delle famiglie della zona. Ha la mafia in casa, ascolta, si informa e, durante le trasmissioni di Onda pazza, parla della sua città come di “Mafiopoli” e di quel Gaetano Badalamenti, capomafia e mandante del suo assassinio (per cui è stato condannato all’ergastolo), come il capo “Tano Seduto”.
Denuncia i traffici di droga, gli affari sporchi, la corruzione. Invettiva e ironia, ma cariche di una forza di cui il coraggio non è il solo elemento fondante: la necessità di ribellarsi al sistema mafioso è unita alla speranza, alla convinzione che sia davvero possibile cambiare, alla vicinanza di tanti giovani compagni che stanno riuscendo a dare una scossa a quella terra umiliata.
Nel 1978 si candida alla elezioni comunali a Cinisi, con una lista che ha il simbolo di Democrazia Proletaria. Ma al giorno delle elezioni non ci arriva mai: il 9 maggio il suo corpo viene dilaniato da una carica di tritolo sui binari della linea Palermo – Trapani.
Alla sua vita il regista Marco Tullio Giordana ha dedicato il film I cento passi, passi come metafora della distanza tra la casa di Peppino Impastato e quella di Tano Badalamenti.
Tenere viva la memoria di questo ragazzo di Cinisi, che ha creduto possibile riuscire a sconfiggere la mafia, è necessario oggi più che mai, in questo Paese anomalo, che gioisce eccessivamente per la cattura di Provenzano, avvenuta dopo troppi anni e condotta da un capo del Servizio centrale operativo della Polizia di Stato, Gilberto Caldarozzi, condannato in appello per le violenza alla scuola Diaz a Genova la notte del 21 luglio 2001. Ennesima italiana anomalia.
Questo articolo, qui presentato in una versione aggiornata, è stato originariamente pubblicato sul settimanale Sette Sere il 6 maggio 2006.
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