Magazine Horror

9. Racconto Concorso "Il Bene e Il Male"

Da Angivisal84
Marlenedi Monia Minnucci
 
Non era né bella né brutta, né grassa né magra… Marlene.
Vidi la sua postura sciatta sin dal primo incontro: le braccia incrociate sul tavolo, testa reclinata a destra. A suo modo mi stava dando le spalle.
”Marlene, è un bel nome Marlene!” le avevo detto, sedendo sulla scrivania orrendamente sporca, per esserle più vicino.
"Uhm!" aveva risposto, mentre nascondeva il viso fra le braccia, nel tentativo di evitare il mio sguardo.
"Sei un' artista? ...ho visto i tuoi bozzetti, sei molto brava. La donna che dipingi ti somiglia molto, sei tu?"
"No! ", rispose secca, ma potevo aspettarmelo.
" Quello che hai fatto è grave!Se non parli con me non potrò aiutarti e ne hai bisogno di aiuto, venti coltellate inferte ad un uomo non sono una sciocchezza. Guardami Marlene!"
"Sono innocente!" aveva esclamato d'un fiato.
Si era levata sul busto e mi fissava come una fiera. Gli occhi bruni da gitana bruciavano d'ira.
”Sono innocente!”, pensai.  L'avevo sentito dire mille volte nel corso della mia carriera, durante le innumerevoli sedute con svariati soggetti sociopatici.
" Ascolta, ti hanno trovato in casa, non hai nemmeno cercato di allontanarti dal luogo del delitto…"
"Dovevano vedere. Devono sapere. Dovete capire!", aveva iniziato a balbettare frasi sconnesse, poi, s'era chiusa in un mutismo che rasentava l’autismo, si cingeva le spalle come per abbracciarsi e si cullava sbiascicando parole insensate.


Avevo alzato il mio culo da psichiatra ed ero uscito dalla stanza, consapevole che non avrei
tirato un ragno dal buco. Non quel giorno.
Giunto a casa mia, ero esausto.
Troppi pazienti erano passati al setaccio della mia anima professionale, desiderosi del giudizio medico che, sedandoli, li avrebbe redenti. Non avevo potuto far altro che redigere le loro cartelle cliniche e archiviarli nello scaffale dei dimenticati. Il rammarico e la frustrazione dei primi tempi della mia carriera si erano spenti, fino a che, i miei pazienti, mi erano parsi tutti uguali e privi di ogni attrattiva umana e medica. Un mucchio di rifiuti e basta!
" Grave errore dottore! ", avevo esclamato a mezza bocca. Con un tale bagaglio d’indifferenza, stavo rischiando la diagnosi piatta, il giudizio ingiusto, la desensibilizzazione dal malato stesso e non solo dal suo dolore. Stavolta non mi sarei arreso, in ballo c’era la mia anima.
Marlene, c'era qualcosa di indefinibile nella postura che adottava: testa e braccia sbracate sulla scrivania potevano indicare rassegnazione o stanchezza, eppure, quando aveva alzato la testa per guardarmi, nei suoi occhi ardeva una fiamma furente, impossibile da ignorare. Chiedeva giustizia.
Ma aveva ucciso e questo era un dato di fatto. Forse l'unico.
Tornai alla scrivania, aprii con cura il suo fascicolo e iniziai a leggerlo. Nel fare la sua conoscenza mi accorsi della vita regolare di Marlene. Era stata un'ottima studentessa, padre operaio e madre casalinga. La foto che li ritraeva assieme durante una gita al lago, mostrava una famiglia serena.
Nessun problema con la giustizia, sembrava tutto a posto.
" C'è qualcosa... ma cosa!", mi chiedevo, tamburellando il fascicolo sul tavolo.
Poggiai la testa sulla mano destra e con la sinistra portai la sigaretta alle labbra e mentre mi accingevo ad accenderla, la mia attenzione fu catturata da una foto, una fotografia istantanea polaroid. La presi e me la girai fra le dita, per cercare una data o un nome, trovai solo una sigla " L. R." e nient'altro.
Osservai la fotografia con attenzione e nonostante fosse sbiadita dal tempo, la "Piccola" immortalata nello scatto avrebbe potuto essere benissimo la nostra Marlene: occhi neri, capelli bruni, il resto è relativo perchè la crescita modifica i lineamenti.
Quando la rividi per la seduta, la settimana seguente, mi osservava con occhi impazienti.
" Come stai?" le chiesi con tono falsamente confidenziale.
" Sto qui, come devo stare?"
" Già, sai dirmi chi è questa?" le poggiai la foto sotto gli occhi, sul tavolo consunto.
" Lizzy!, Lizzy, piccola cara!" esclamò, carezzando la foto con due dita e guardandola con commozione.
"Chi è Lizzy?"
"Mia sorella, la mia sorellina, è morta sa? Ha da accendere dottore?" disse e si sporse verso me con la sigaretta ciondoloni dalle labbra dipinte di rosso.
"Ti sta bene quel colore." la elogiai pigiando l'accendino.
"Grazie, non trova che il fuoco sia affascinante?" disse sospirosa, mentre osservava la fiamma con una tale accuratezza che ne fui colpito, ma quasi immediatamente mi distolsi e, storcendo la bocca a quel pessimo tentativo di eludere il discorso, proseguii…
" La donna che dipingi, sei tu?"
"No, è Lizzy , ora avrebbe quasi la mia età. La dipingo ogni anno, è cresciuta con me, dentro di me, come un bambino."
- E' pazza!- pensai, mentre le davo le spalle. Non intendevo farle leggere quella deduzione sul mio viso. Era un soggetto altamente manipolativo e intelligente.
" Com'è morta?"
"Nulla ... è morta e basta. In casa nostra c'è stato un corto o qualcosa del genere. Non lo so, non ricordo bene, ero piccola. Mi portarono in un istituto, però."
"L'uomo che hai ucciso, era il tuo compagno?"
" In un certo senso, sì."
" Collabora con me, voglio aiutarti, se non parli finirai in galera "
"Perché … il manicomio criminale è forse meglio?", disse, guardandomi con odio.
"Lui mi picchiava, mi torturava, guardi qui!"
Si abbassò il camice e inorridii di fronte alle cicatrici che potei rilevare su ogni centimetro del suo corpo. Ne era tappezzata.
" Ha tentato di uccidermi, sa? "
A quel punto ebbe un crollo emotivo e mi raccontò tutta la vicenda.
La ascoltai attentamente e dopo aver sentito la sua versione un’infinità di volte, per rilevare ogni possibile contraddizione, senza trovarne, dedussi che Marlene era una donna normale e molto sensata. Nessuna turba emotiva poteva interessarla, aveva ucciso per legittima difesa. Questa fu, alla fine, la mia diagnosi.
Ci fu il processo e il tribunale diede a Marlene la piena assoluzione. Il tumultuoso svolgersi dei fatti e la tenerezza sprigionata da quel suo intenso bisogno di protezione, ci legò e divenimmo intimi.
La sera in cui venne definitivamente prosciolta dall'orribile accusa, preparai una meravigliosa cena a lume di candela. Mancava ancora mezz'ora all'ora dell'incontro e tutto sembrava in ordine.
Avevo tempo da perdere e sedetti alla mia scrivania a guardare le carte processuali.
Il fascicolo dell'imputata - ora assolta - e il quotidiano, dove il mio nome sfavillava per
aver dato il contributo risolutivo agli inquirenti, erano nelle mie mani e iniziai col leggere l’articolo.
L'uomo trovato morto con venti coltellate, di cui quindici avevano colpito gli organi vitali, si chiamava Gorge Melis, aprii il fascicolo dell’ex imputata e mi sorpresi a guardare le foto di Marlene. Notai un piccolo particolare che, non so perché, era sfuggito a tutti, inquirenti compresi.
" Cazzo, è suo padre!", pensai, confrontando la fotografia dell’uomo immortalato nello scatto di famiglia con quella dell’uomo sul giornale. Erano stranamente somiglianti, anche se fra i due potevano esserci una decina d’anni di differenza.
Girai la foto e, leggendo le iniziali, mi si gelò il sangue nelle vene- G. M. –
Il nome dell’uomo assassinato era Gorge Melis, non poteva essere un caso!”, dissi a me stesso.
Mi recai al pc e feci una ricerca sulla morte della sorella di Marlene. Trovai l’articolo e lessi dell' incendio:

- Incendio doloso nel quale perde la vita una bambina. I responsabili sono tutt’oggi ignoti. La piccola Marlene, sorella della vittima, era sola in casa con la sorellina minore e assistette impietrita alla sua fine. Seppure sotto shock e gravemente ustionata riesce a salvarsi... si grida al miracolo! La madre, Alissa, non regge alla tragedia e si suicida due settimane dopo. Marlene, già orfana di padre, viene affidata ad un istituto. –

"Non trova che sia affascinante il fuoco?" le sue parole mi echeggiavano in testa, mentre un oscuro presagio mi gelava il sangue nelle vene. Credevo d’impazzire.
Il suono del citofono mi fece sobbalzare, era lei. Quando entrò nella stanza, euforica come una bambina, mi venne incontro e mi buttò le braccia intorno al collo, io la scansai.
"Chi sei tu!" sibilai furioso.
" Sono io, Marlene!... che hai?"
" L'uomo che hai ucciso era tuo padre!Non ti ha mai picchiata e non era il tuo uomo. Quelle cicatrici te le sei procurate nell' incendio, sei una bugiarda!"
Si fermò a guardarmi divertita, con una punta di ammirazione per la mia sagace scoperta, doveva avermi dato dello stupido per tutto il tempo.
"No, dottore, lui non era mio padre, ma il mio patrigno, ed è per questo che nessuno ci aveva mai collegati, prima." Iniziò a battere le mani con sorpresa, poi concluse con sarcasmo “ Complimenti, dottore!”
" Perché l'hai ucciso?"
"Perché lo meritava."
Ero davvero inorridito.
" Lo sa, dottore, cosa vuol dire avere una madre incapace e doversi occupare di tutto?Quando si ammalò di depressione io avevo dieci anni e inizia a prendermi cura sia di Gorge, il suo amato compagno, che di mia sorella Lizzy. George mi diceva che ero la donnina di casa. La sua piccola donna. Ero davvero molto brava... diceva d’amarmi ed io amavo lui! Finchè un giorno, quella stupida di Lizzy ci ha sorpresi assieme. Non potevo permettere che parlasse con le insegnanti, avrebbero avvisato i servizi sociali e lo avrei perso per sempre e così l'ho fatto! Eravamo sole in casa e Lizzy voleva tanto giocare con la lampada ad olio che tenevamo in alto, sulla mensola; gliela accesi, il fuoco l’affascinava e non ci mise nulla a farla cadere e a prendere fuoco. Ero nel panico totale, ma se anch’io mi fossi ustionata gravemente, nessuno mi avrebbe incolpata e poi, all'epoca dei fatti, era facile ingannare gli inquirenti, non c'erano mica le risorse e gli strumenti di oggi!"
" Si, ma non capisco, sono passati otto anni da allora, perché ucciderlo dopo tanto tempo? "
" Dopo essere uscita dall’istituto, andai a cercarlo. Sapevo dove abitava, perché durante la mia reclusione avevo ricevuto sue notizie, spesso mi spediva cartoline. Così lo trovai e mi collocai in un appartamento vicino al suo. Andavo spesso a casa sua, ma era cambiato, sembrava a disagio in mia presenza. Non mi ci volle molto per comprendere che l'idiota voleva abbandonarmi. Mi raccontò di aver fatto uno di quei cicli di cura con quei buffoni degli "Alcolisti anonimi" e loro gli avevano messo in testa che era stato l'alcool a fargli fare quelle brutte cose. Gli avevano detto che era stato molto malato, ma non è vero!Lui mi amava ed io amavo lui e presto tutto sarebbe tornato come prima. Saremmo stati insieme, come una vera famiglia. Cercai di dissuaderlo che erano scemenze e che noi eravamo fatti per stare assieme, ma lui mi rispose che quello che aveva fatto con me, era “Capitato” anche con mia sorella, Lizzy. Non ero speciale. Ero meno di niente e non lo sopportai, fu allora che presi il coltello e lo uccisi. Lo feci perché lo meritava, come a suo tempo lo aveva meritato Lizzy ...  io sono innocente!"
Ero inorridito da quella confessione, ma lei no, era una statua di ghiaccio.
Finito il suo raccapricciante racconto, mise una sigaretta fra le labbra e con un sorriso innocente, concluse:
"Non ha del fuoco, dottore?"

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