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94. Sul muretto

Creato il 09 marzo 2012 da Fabry2010

Pubblicato da fabrizio centofanti su marzo 9, 2012

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Forse è l’ultima volta che vieni qui a cercare ispirazione. Ne hai fatta di strada. Qualcosa hai capito, dopotutto. La città è un mistero che si rivela a poco a poco. Vedi il fiume che si allunga all’orizzonte, come una vena, un serpente, un braccio che stringe le case e i monumenti, le vie con i negozi, gli oggetti che ti ricordano, che cosa?
- Sono felice.
- Anch’io.
- Parlami di te.
Lo vedevi pensieroso, ogni volta che si trattava del passato. Ma qui, qui, tutto pareva rinnovarsi, come se i lampioni in fila lungo l’Arno fossero tappe di un futuro che si offriva per la prima volta.
- Mi chiedi di rinnovare un dolore lancinante.
Quanto aveva combattuto, fino allora? Ti sembrava così bello, sullo sfondo del tramonto: un guerriero che solo a te svelava la sua anima, te ne sentivi indegna, ma non glielo dicevi.
- Parlami, ti prego.
Sotto il ponte passavano due barche, sembravano esplodere nella luce del sole che calava.
- Se scrivessi un libro, comincerei da qui. Una città da cui partono i fili di una storia senza fine, in cui ognuno ritrova la sua strada.
- Che bello! Ho sognato a lungo un libro che parlasse anche di me, in cui trovare il bandolo perduto della vita.
Avverti ancora l’eco della folla tra le bancarelle del mercato, l’aria sottile del ristorante affacciato sulla piazza, il campanile di Giotto, le nuvole rosa in cui leggevi le righe impalpabili della tua felicità.
- Potrebbe essere anche una canzone, di quelle che metti e rimetti, fino a consumare la traccia del CD. Ti è capitato?
Se ti è capitato! Sei capace di sentirle per un giorno intero, senza mai stancarti.
- Hai mai scritto una canzone così?
Ti sembra impossibile stare al tavolo con lui: sta pensando solo a te, ti rendi conto?
- Da ragazzo salivo in mansarda, con l’amico del cuore. Era una fuga? Un modo per sopravvivere a mio padre che incombeva?
Fu allora che intuisti il dolore che si portava dentro: perché non sei mai andata a fondo? Non volevi rovinare la magia di quel tramonto? T’illudevi di possedere la cura che potesse guarirlo? In cosa hai mancato, quale vuoto si è aperto fra di voi e hai sempre trascurato di colmare?
- Hai sofferto molto per tuo padre?
- L’ho visto troppo in alto: ero un bambino bisognoso di carezze, di calore. Lui era perfetto, o così mi sembrava, e pretendeva che lo fossi anch’io.
Perché non gli hai permesso di sfogarsi, di mostrare il punto debole senza preoccuparti di dargli una ricetta a buon mercato?
- Ci sono io, Fausto, ti farò felice.
Perché non gli hai lasciato svuotare la tristezza? Se la sarebbe portata sulle spalle fino al giorno in cui qualcuno gli avesse permesso di disfarsene.
- Sì, Dalia, mi farai felice.
Non hai dato retta alla città che ti parlava, nei lampioni aggrappati all’ultima luce della sera.
- Non pensare al passato, hai un futuro migliore, dimentica, dimentica.
Chi ti ha messo sulla bocca le parole che avrebbero fatto scendere la notte sul muretto dove ora ti baciava?
Il fiume si allunga fino all’orizzonte, come le lacrime che cadono pesanti sul selciato grigio e inumidito.


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