Pubblicato da fabrizio centofanti su marzo 11, 2012
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Perché ti viene in mente un labirinto? Pensi che la vita ti ha fregato un altra volta. Può esserci un’uscita? Ti accucci in un canto, mentre Fawzi continua a disegnare schemi, piegato su carte sempre più scarabocchiate, come preso anche lui in labirinti in cui ogni svolta dev’essere appuntata, ogni angolo che potrebbe sbucare in uno slargo, una piazza, uno straccio di risposta a problemi di cui si perde il filo. Vorresti ritrovarti in classe, coi bambini che chiedono perché, e tu con la soluzione falsa sempre pronta. Risposte! Solo adesso riconosci la patina che avvolge le ricette facili: l’amore, l’amicizia, l’aldilà; parole vuote, che fatichi persino a pronunciare. Perché ingannarci se poi tutti ti abbandonano, se nessuno s’immischia col destino degli altri quando gira storto? Ti guardi dentro, cerchi una luce, una scintilla; ricordi la volta che eri entrata in chiesa e il prete raccomandava di svegliarsi con un pensiero bello. Ti viene il vomito. Dov’è la bellezza della vita? Quanti anni devi ripercorrere per trovare la dolcezza di un ricordo? La fotografia della prima elementare: eri al centro della fila più bassa, con gli occhi spalancati, come in attesa di qualcosa. Che stavi aspettando? Forse dovresti collegarti a questo indizio, seguire la linea del tuo sguardo di bambina, guardare l’orizzonte, l’avventura dell’esistere che ti viene incontro con le braccia aperte, con la faccia di cielo, la bocca di nuvole bianche, gli alberi, il sole, come li vedi per la prima volta, forse questo è il segreto, guardare tutto per la prima e ultima volta, questo è l’amore, non lasciarsi prendere da pensieri di paura, di noia, di abitudine. Sei di nuovo nella foto, la bambina alla tua destra che ti dice sorridi, non fare quella faccia, e tu guardi dentro il buco della kodak, spalanchi gli occhi, ecco, adesso arriverà la vita con la faccia di cielo, la bocca di nuvole, ti guarderà a lungo col suo sguardo dolce, col soprabito scuro, la sciarpa chiusa nell’interno, ti sorriderà e tu gli chiederai il suo nome e lui ti dirà che è impossibile, che non può svelarlo, e tu gli dirai che non lo saprà nessuno, un segreto fra te e lui, un mistero chiuso nella foto della prima elementare, sarà un ricordo bello, tanto per dire al prete che gli hai dato retta, che anche tu ci sei riuscita, che un giorno, mentre aspettavi qualcosa dalla vita, hai visto un uomo dallo sguardo dolce che ti ha detto va bene, se lo prometti te lo dico, sì, dimmelo, dimmelo! ti guarda ancora un poco, con la faccia di cielo e la bocca piena di nuvole e sussurra piano, in un orecchio, che solo senti solo per miracolo: mi chiamo Rigel.