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98. La mano

Creato il 13 marzo 2012 da Fabry2010

Pubblicato da fabrizio centofanti su marzo 13, 2012

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I nodi vengono al pettine, i grumi si sciolgono, le attese raggiungono il culmine della tensione e trovano uno sbocco: insomma, ognuno lo chiami come vuole, è il punto in cui i fili della storia convergono per dare senso al tutto. Forse qualcuno aveva già intravisto Ester di fronte alla sede dell’azienda, gomito a gomito con Fawzi, intento a compulsare carte piene di sgorbi dove ormai è impossibile distinguere qualcosa, eppure tutto è chiaro: a che è servito perdere il sonno e la salute per coprire il paio di centinaia di metri che lo dividono dal portone da forzare per raggiungere la Presidenza? Il romanzo corre verso una frattura, la deflagrazione che farà saltare le sfumature troppo tenui, lo sforzo di sondare gli esiti possibili, la scelta tra una donna e l’altra, due lavori, due beni, un bene o un male, un finale comico o drammatico, perché la vita è sempre avanti a un bivio e il compito è sciogliere gli enigmi, dipanare il bandolo della matassa, il labirinto di cui s’ignora il senso, ma tant’è, sta lì, e chi ce l’abbia messo, alla fine, conta poco. Fawzi è convinto di aver risolto tutto, la scelta l’ha fatta: dimostrerà all’Occidente che i valori su cui poggia sono inconsistenti, sabbia che il vento porta via, acqua che scorre senza riuscire a comporsi in una forma. Che gliene importa dei libri distrutti, del lavoro certosino per cesellare incipit, finali, le svolte inaspettate delle storie che stupiscono il lettore dalle mille facce: l’impiegata che non vede l’ora di staccare, il pensionato che trova il tempo di sedersi in poltrona e stendere le gambe, il ragazzo introverso che invece di uscire a caccia di coetanee si sprofonda nel letto e gira pagine su pagine finché non si addormenta? Per lui sono il segno della decadenza destinata a bruciare in una notte, come l’inferno, la passione del peccato, perché c’è un solo libro, uno è il messaggio a cui occorre dare ascolto,  le altre sono voci di sirene che vogliono traviarti. Al massimo, concepisce carte con segni e scarabocchi, mappe di manovre silenziose, passi felpati, occhiate diffidenti, il conteggio dei metri che ancora lo dividono dalla giustizia che sta per rivelarsi, centottanta, centoventi, cento, ormai è nel mezzo della strada, un’aria di trionfo si disegna nello sguardo affilato, sicuro del traguardo, conscio dell’importanza del momento, e tutto si aspetta tranne che Ester gli si avvinghi, cercando le fettuccia da tirare perché l’ordigno esploda, per imprimere al romanzo la svolta che nessun lettore avrebbe immaginato e per questo è l’unica possibile, perché l’autore è chiamato a sorprendere e una storia non corrisponde mai alle attese più banali e, a costo che ci scappi il morto, il libro non è altro che un pugno nello stomaco quando meno te lo aspetti, ti costringe a seguire con il groppo in gola il sacrificio di Ester che riscatta il racconto sghembo della vita, sua, di Fausto e Dalia, di coloro che l’hanno infilata in questo impiccio da cui non sa più uscire. L’uomo dal soprabito scuro non sarà d’accordo, anzi, ha cercato di fermarla all’ultimo momento, ma la mano gli è sfuggita un’altra volta e non può che contemplare le fiamme e i corpi ancora avvinghiati nell’abbraccio, con gli occhi dolci e neri da cui spunta una lacrima in cui specchia l’ombra accecante della fine.


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