Magazine Poesie

_henry squeeze

Da Faprile @_faprile

"secondo una certa critica i suoi lavori sono, cito testualmente,linee aggrovigliate, disintegrazione catartica, caos, che cosa ribatte?" -"se la gente lasciasse i preconcetti a casa e guardasse i miei quadri noncredo che avrebbe difficoltà ad apprezzarli. è come guardare un prato fiorito,non ci si strappa i capelli per capire cosa significa." - "come fa acapire quando ha finito un lavoro?" - "come si capisce quando haifinito di fare l'amore?". (ed harris, in Pollock)
_henry squeezecredo che un giardino di sole rosevada bene per cominciare, come uno scenario cinematografico dove perdersi nonsapere mai dove guardare. non datemi dell'altro, non datemi mai, dell'altro,solo il rumore della sua voce. ha bevuto una dozzina di cicchetti prima discendere sulla scena dello spettacolo come se fosse un crimine giàaddomesticato da rituali televisivi e dimenticare tutte le battute come unarissa iniziata male e finita peggio. non ha tutti i torti quando si ubriaca enon perde tempo nel dire cazzate. non ha tutti i torti ma quella volta sullascena era inciampato prima di tutto in se stesso dimostrando un disordine umanoquasi come fosse una carezza sul ventre di una donna incinta.tenerezza insomma. si lanciò contro il pubblico colpevole di non avere capitol'intimità della scena da lui dimentica e riadattata alla meno peggio con unrantolo di vomito che gli si premeva contro la gola sabotandone tutte le parolesballottolate da una parte all'altra come un gomitolo preso a zampate da ungatto che si basta a se stesso nel suo mai timido giocare. urlava contro ilpubblico di non essere e volerlo mai diventare una parte segmentata di lorocome in un giardino di sole rose rosse e spine unte dal loro stesso senso nettodi distanze e ambre nude colate giù dal cielo come pioggia dopo la pioggia.sbaglierò - recitava nel suo incipit maldestro al punto da esserne cosìconvinto da non distinguersi da niente di tutto quello che colava fuori dal suocorpo - ma siamo immortali, credo, nelle parole che già abbiamo consumato,dilapidato come un discorso seminudo di irrefrenabile baldoria, in quelle frasifatte, già pronunciate da troppe, troppe persone. in quelle parole che siaddentrano e mordono la fuga, il ritorno, il serpe calpestato per strada, unapietra scheggiata. sai che posso esserci anche quando non ci sono. io, non tiho conosciuta mai. sono così nudo che mi piace arrossarmi il viso con questebottiglie di vino che rubo al mercato, quello in piazza dove da ragazziandavamo solo a rubare, a raccogliere qualcosa che non fosse mai stata pagata,a perderci a perderci a scriverci le nostre stupide parole sui muri sui murisui muri per non raccontarci niente con quelle stupide parole. sbaglierò, masiamo immortali in tutto questo. in quelle parole uccise dal nostro non pesarlemai. in quelle frasi fatte. in quella routine verbale da mercato in piazza aurlare urlare cantare squarciarci il ventre dissodato con una mannaialetteraria di un libro troppo troppo grande da poter essere letto senza muoversbadiglio. io, non ti ho conosciuta mai.    io,non ti ho conosciuta mai. lo sai che quando siamo all'aria aperta amo perdermimentre i tuoi discorsi mi sorseggiano come fossi un bicchiere di vino andato amale, perché mal digerisci questo mio stato, questa mia condizione dove nonsono altro che una famiglia adottante di parole a buon mercato, dove non sonoaltro che tutta la mia noncuranza ai dettagli, ai dettagli asserragliati dietrol'angolo come studenti nel maggio della rivoluzione. amami. amami come non haimai amato niente all'infuori di questa nostra solitudine. amami. amami come nonhai mai disprezzato che io fossi e invece non ero. amami. amami come queivent'anni che hai dimenticato mentre già li stavi vivendo. amami. amami edimenticami come quei vent'anni che stavi vivendo e hai scordato di vivere.come la rosa rossa che s'è uccisa in un castello di nuvole dove sola tispecchiavi. come la rosa rossa che spina spinosa s'attorciglia al collos'aggrappa in groppa alla testa alla cresta all'onda che s'abbatte e poi nons'arresta torna e si scontra e schiva, mai serva asservita mi rintronaconquista come su quel castello di nuvole pochi pesci azzannati alla riva hannoscritto ultime parole che già cancellate dall'onda che torna e la sabbiascontorna scancella, io. non ti ho conosciuta mai. non sono che uno spaccatotimido della solitudine. non sono che una rimembranza adolescenziale dei disagiche lenti mi plagiano. non sono che la tortura che dai tuoi occhi mi sovviene.amo la stortura della sera che viene a stringermi il collo con un fazzolettobianco di stelle.
tutto qui. ha disarcionatol'idea, lo spasmo. ha centrifugato il ritmo il ritmo. il ritmo che tanto haaspettato prima di venire a galla. ha annaspato, una volta ucciso il ritmo. nelsenso inverso dell'alcool che dal corpo aveva fretta d'uscire. era ubriacosulla scena. ma cantava una lingua diversa. ho assaporato posti lontani e maireali nelle parole scansionate da quella voce. ho rivissuto momenti mai natinell'esperienza della mia vita e di quelle precedenti. sono sempre stato unmonaco buddista taoista zen senza mai credere nei cicli delle vite delle nascite rinasciteuomo animale uomo stella mare piuma cielo incanto infinito. la vista è semprestata qualcosa che mi si strozzava negli occhi accigliati aggrottati sorridentispenti. un giardino di sole rose sì. poteva andar bene per cominciare. poioccorreva il resto. uno spazio ampio. un albero con una grossa cavità. undondolo. di quelli stereotipati con la solita gomma d'automobile ondulantenell'aria vuota. e nessuna corda per appenderla. un giardino di sole rosepoteva andar bene per cominciare. poi. ancora. uno spazio ampio. un albero conuna grossa cavità. un paio di vocali slegate dal discorso e poggiate a casonello spazio aperto dell'albero. un calendario, che non conta più i giorni, sucui segnare lo spazio ampio dove aspettarci, incontrarci ogni volta, tutte levolte per dimenticarci.
francesco aprile
febbraio 2012

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