A 10 anni dagli attentati dell'11 marzo, l'ex minatore ammette: Non fu l'ETA, fu il terrorismo islamico
Da Rottasudovest
A dieci giorni dal decimo anniversario degli attentati nei pressi della
madrilena stazione di Atocha, che, l'11 marzo 2004, costarono la vita a 191 persone, elconfidencial.com pubblica un'intervista a José Emilio Suárez Trashorras,
il minatore asturiano che fornì l'esplosivo ai terroristi. E' un'intervista
realizzata attraverso l'avvocato Francisco
Miranda Velasco, in cui il minatore libera il panorama dalle trame occulte
e torbide che in questi anni molti media, a cominciare da El Mundo, hanno
cercato di sostenere. Né ETA né servizi segreti decisi a scalzare il PP dal
potere, come insiste parte della destra spagnola, ancora incapace di accettare
la sconfitta alle elezioni del 14 marzo 2004, da parte di José Luis Rodriguez
Zapatero. A organizzare gli attentati sui treni che correvano verso Atocha sono
stati i terroristi islamici, con l'aiuto di Trashorras, che solo adesso inizia a
realizzare l'enorme peso che porta sulle spalle: "Io ho sempre visto questa
vicenda solo come un traffico di esplosivi, non pensavo che gli attentati
avessero a che vedere con me. Io ero un trafficante di dinamite, molta gente
faceva un sacco di cose con la dinamite e io pensavo che gli attentati dell'11
marzo erano semplicemente una cosa in più".
Sugli attentati l'ex minatore ha dato ben sette versioni diverse. Spiega di
averlo fatto per strategie di difesa e consigli dell'avvocato di allora, secondo
il quale, "mi avrebbero condannato solo per gli esplosivi e che avrei preso
otto anni, uscendo poi dopo tre anni". In realtà Trashorras è stato
condannato a 34.715 anni, la pena più alta mai assegnata a uno spagnolo, e non
potrà chiedere benefici fino al 2024, allo scadere dei vent'anni di carcere.
Adesso Trashorras nega che gli attentati siano stati un colpo di Stato coperto
da un gruppo di musulmani ("E' solo una delle versioni che ho dato per
distrarre") e che il terrorista islamico Jamal Ahmidan avesse contatti
anche con l'ETA, a cui passarono l'esplosivo ("Nel posto in cui gli arabi
avevano per conservare l'esplosivo, ce n'erano 600 kg e ne portarono via solo
200. Avrebbero potuto portarsi via tutto, ma si portarono via solo quello.
Perché avrebbero dovuto avere bisogno dell'ETA se avevano tutto l'esplosivo che
volevano? L'ho detto per confondere e depistare. Davo una versione, poi
un'altra... mi divertivo anche a farlo. Non mi rendevo conto delle conseguenze
che avrebbe avuto. Ho detto stupidaggini, l'ETA non ha avuto niente a che
vedere. Non c'era alcuna base per sostenerlo. L'ho detto senza avere alcun
fondamento, al di là del voler confondere").
Nell'intervista Trashorras spiega anche perché ha consegnato l'esplosivo ai
terroristi: "E' stato per pagare un debito di hashish che aveva Antonio
Toro (suo ex cognato, condannato a quattro anni, durante il processo) con
i mori (in tutta l'intervista Trashorras chiama così i terroristi musulmani,
come buona parte degli spagnoli continua a chiamare gli arabi). Dovevamo loro
soldi, ma io non volevo pagarli, così dissi loro di prendersi tutto l'esplosivo
che volevano. Non sapevo cosa ne avrebbero fatto. Ho sempre pensato che
avrebbero cercato di far saltare qualche cassaforte, che era la ragione per cui
lo usavano sempre. Mi hanno condannato perché dicono che avrei dovuto sapere
che le persone a cui l'ho dato erano musulmani radicali, ma dimenticano che i
musulmani che io ho frequentato andavano nei bordelli, sniffavano cocaina,
bevevano alcol... Non avevano il profilo che si suppone abbiano i radicali. Non
mi è mai passato per la testa che avrebbero potuto usarlo per uccidere
persone".
Non appena saputo degli attentati, Trashorras ha iniziato a collaborare con la
Polizia, parlando dei musulmani che aveva conosciuto e "raccontando tutto
quello che sapevo su di loro, nomi, auto, targhe, lo stesso Manolo (l'ispettore
capo del Gruppo di Stupefacenti del Commissariato di Avilés, nelle Asturie) lo
ha riconosciuto durante il processo. Ho parlato con lui il giorno dopo, ma lui
non ha fatto niente".
Dopo dieci anni di carcere, l'ex minatore sente che sta pagando un po' per tutti
gli asturiani che parteciparono, più o meno inconsapevolmente, all'attentato:
"Sono stato condannato a 34.715 anni, ma ci sono persone che hanno avuto lo
stesso livello di partecipazione, nella storia degli esplosivi, per esempio la
mia ex moglie Carmen Toro o i minatori che hanno consegnato la dinamite, che
hanno avuto condanne molto minori o sono stati scagionati. D'accordo, assumo la
responsabilità di quello che ho fatto, se io non avessi dato gli esplosivi i
treni non sarebbero saltati o magari avrebbero usato un altro esplosivo e io non
avrei la responsabilità che ho". A sopportare il carcere lo aiuta la
vicinanza della sua famiglia, i genitori e la sorella, che non mancano mai alle
visite in carcere e gli danno molta forza.
Realizzata la sua responsabilità nell'attentato, Trashorras è piuttosto duro
con se stesso: "Se fossi una vittima non mi perdonerei mai per quello che
ho fatto. Ne ho parlato con tre vittime con cui mi sono riunito per chiedere
loro perdono, mi hanno chiesto se io le perdonerei, nel caso fossero state loro
a farmi quello che ho fatto e ho risposto di no, che non le perdonerei. Non mi
perdonerei. Cinque anni fa mia madre ha avuto un cancro e non è più venuta a
visitarmi e mi sono reso conto del dolore che dovevano sentire le vittime per la
perdita o il danno sopportato da una persona amata. E sono cambiato, mi sono
reso conto del male che ho fatto. E voglio fare tutto il possibile per risarcire
il dolore che ho causato. Le vittime hanno il diritto di sapere la
verità".
L'intervista completa è su elconfidencial.com.
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