di Alfonso Nannariello
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Nei giorni freddi
con la morte in braccio
brillava al collo la foto
nell’oro del suo laccio.
Più di recente, ed io me lo ricordo, sui tremori del seno alcune donne avevano laccettini d’oro o d’osso, a cuore o a medaglione. Spesso chiavacuori.
Il chiavacuore era un fermaglio al centro del petto.
Il più delle volte fermava o riduceva la scollatura di una maglia. Nella forma di un cuore trafitto o di un sole con cortissimi raggi aveva un amorino o un’immagine sacra o una foto di un figlio o del marito perduto o morto o disperso chissà dove, ma non nel loro cuore.
Da tempo, anche quelli come nicchia custodia del marito, non erano più amuleti. Erano un ricordo vivo certamente, ma, forse, anche un appunto contro le insidie alla fedeltà, pur non più dovuta ad un defunto.
Con quelle spille infisse sopra il cuore, sembravano madonne piene di ferite, trafitte di dolore.
Sarà stato perché sentivano il corpo non del tutto diviso del loro figlio in corpo, sarà stato perché il marito in loro s’era incarnato, che le loro persone, prima che in un fermaglio o dentro un medaglione, erano visceralmente dentro quelle donne, tanto che, quando alla parte rimasta fuori succedeva qualcosa, presagivano la notizia dal cambiamento imprevisto del proprio umore. Allora dichiaravano inquiete
M r dic ‘u cor
Me lo dice il [me lo sento nel] cuore.